Comunicato Stampa - fine del 2007

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INEDITI DI STORIA LANCIANESE 

in occasione dell’uscita del mio nuovo libro

ESTRATTI DA Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)

INEDITI DI STORIA LANCIANESE 

Dove sono queste chiese?

AL VATICANO HO TROVATO DELLE CHIESE LANCIANESI IN PIU' CHE NEL XIV SECOLO HANNO PAGATO LA DECIMA

Dalla mia 1a Storia di tutto il territorio di Lanciano-1st History of the entire Lanciano’s territory, 2005, p. 63. “Chiese lancianesi scomparse, mai scritte nei libri della storia di Lanciano, citate nel Rationes Decimarum (Libro delle Decime consistente in una tassa della decima parte di ogni reddito o raccolto da devolvere alla chiesa), e non individuabili: S. Margarite, nel Rationes Decimarum del 1324-1325, numero 3745. S. Silvestri, nel Rationes Decimarum del 1324-1325, numero 3746. S. Herasmi de Silva, nel Rationes Decimarum del 1324-1325, numero 3748 (dovrebbe trattarsi della chiesa di S. Erasmo alla Fiera, riportata in molti libri della storia di Lanciano, che forse era in qualche parte del quartiere Fiera). S. Herasmi de Collina, nel Rationes Decimarum del 1324-1325, numero 3750 (per l’affinità del nome con quella di S. Pietro alla Collina, era, forse, nella contrada S. Maria dei Mesi). S. Nicolai de Cesis, nel Rationes Decimarum del 1324-1325, numero 3755. S. Pancratii, nel Rationes Decimarum del 1324-1325, numero 3759. “(1)

 (1) Archivio Vaticano, Rationes Decimarum Italiae, Aprutium-Molisium, le Decime dei secoli XIII-XIV, a cura di Sella Pietro, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1936

Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)

Con 50 Foto di Nicoletta Di Ciano

della 1a Inedita Narrazione fotografica di tutto il territorio di Lanciano


INEDITI DI STORIA LANCIANESE 

Maurizio Angelucci - Se scrive Lanciane, se legge Langián(e) 

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Fonologia, Morfologia e sintassi della parlata lancianese

L’elemento maggiormente distintivo della gran parte dei vocaboli della parlata lancianese, come del dialetto abruzzese, al di là dei “normali” mamma, mammà, papà, ecc., è la presenza della e finale atona, una chiara influenza della lingua francese, che ha modificato e dato una certa definitività alla parlata lancianese sin dal tempo dei normanni e nel medioevo. Questa e atona deve essere sempre scritta e viene pronunciata con un suono appena percettibile, mentre fa sentire distintamente la consonante o talvolta la vocale che la precede, perché su di esse si sposta l’accento tonico. Per cui Lanciane, lancianese, chiese, letterature (Lanciano, lancianese, chiesa, letteratura) si pronunciano Langián’, langiánes’, chiés’, lettératur’ (il simbolo fonetico della e atona è [ә] che abbiamo sostituito con un apostrofo). In molti scritti dialettali c’è la soppressione della e atona nella scrittura quando è preceduta da una i, ma è un errore e allegrïe non si scritve allegrï’. In realtà il lancianese si scrive differentemente da come si pronuncia, (bbómme-bomba si scrive bomme, bbèlle-bello-i-a-e- si scrive belle) ed è ricco nella pronuncia delle varie e, accentate o non, tratte dalla lingua francese, che non sempre si scrivono: é [e], è [є], e la e muta [ә]. Come regola generale, sempre differenziata dalle pronunce individualizzanti, possiamo dire che la e si legge sempre quand’è iniziale di parola o se è accentata, mentre è muta quanto è atona (terretorie-territorio suona terr’tori’, comede-comodo si dice có-m’-d’). Inoltre la è e la é esprimono delle differenze semantiche: l’accette pronunciata a-ccètt’ (l’accetta) e accette pr. acc-étt’ (egli accetta), culleghe pr. cu-llègh’ (il collega) e culleghe pr. cúllégh’ (egli collega), legge’ pr. lègg’ (verbo leggere) e la legge pr. légg’ (la legge), ecc.

Da ciò ne consegue che per capire il genere e il numero delle parole terminanti con la e muta, quindi indeclinabili, si ricorre agli articoli: lu citele-li citele, il-i bimbo-i; la citele- le citele, la-le bimba-e.

I plurali, quando non sono simili al singolare come in la-le lamie (il-i soffitto-i), si formano col cambiamento di qualche vocale all’interno delle parole per una metafonesi che è un retaggio della lingua sannita, quando la a diviene una e in lu piatte, li piette (il-i piatto-i), la o diventa una u in lu barone, li barune (il-i barone-i), la e cambia in i in lu vetre, li vitre (il-i vetro-i), o lu ducumente, li ducuminte (ducumento-i), oppure la metafonesi può anche avvenire nella prima lettera, come l’ordene, l’urdene (ordine-i), e lo stesso avviene per altre parti del discorso come gli aggettivi care (caro-a), chere (cari-e), mentre la i e la u non variano quasi mai.

Altre confusioni potrebbero originarsi dalle o gravi (ò) e acute (ó) che il lancianese ha nella pronuncia ma non nella scrittura, ed infatti li botte (percosse) pron. le bbòtt’ ha tutt’altro significato che la botte (damigiana) pr. la bbótt’, o lu conte (titolo nobiliare) pr. cònt’ non è lu conte (calcolo aritmetico) pr. cónt, ecc.

Un’altra qualità specifica del lancianese è la presenza della doppia jj che rimpiazza la desinenza gl dell’italiano, e nella pronuncia gutturale come due i ricorda il suono mouillé della lingua francese [j], con la parte posteriore della lingua che si arcua verso la parte superiore del palato e con l’allungamento del suono della vocale che la precede (il francese bataille-it. battaglia viene pronunciato esattamente come nel nostro dialetto, dove si scrive battajje e si dice bat-taj’). Quindi nel lancianese abbiamo lujje (luglio), medajje (medaglia), ventajje (ventaglio-je fa male lu vente de lu ventajje si dice a chi è insofferente a tutto), ecc. Da notare pure che le due jj non sono seguite dalla i come nelle parole italiane. Poiché esistono delle differenti interpretazioni concernenti il dialetto lancianese possiamo stabilire che le parole mancanti del gl in italiano prendono una sola j, come ormaje (ormai), dammaje (danno) ecc., e bisogna stare attenti perché, per esempio, majje (maglia) potrebbe confondersi con maje (mai). Avviene pure che mojje (moglie) diventi mojete (tua moglie).

Assodato, nei riguardi degli studi generali dei dialetti abruzzesi, che per il fenomeno linguistico della sonorizzazione (suoni sordi nella scrittura, sonori nella pronuncia) nella parlata lancianese mp si pronuncia mb, nt suona nd, nc muta in ng, ns diviene nz, rs cambia in rz, va ripetuto che in siffatti casi il lancianese va scritto coi suoni sordi e pronunciato con quelli sonori, e questo per ragioni di etimologia dalle lingue da cui i vocaboli sono derivati, specialmente il latino. Dunque abbiamo: Mp in mb: lu campe (il campo) pronuncia lu camb’, ‘mpere (impero) pr. ‘mbér’, ‘mperatore (imperatore) pr. ‘mbératòr’, campagne (campagna) pr. cambágn’, temporale pr. tembóral’, campane pr. cambá-n’, ecc. – Un’eccezione è sempre (sempre) pr. sempr’. Nt in nd: mentre, antiche, fondamentale, Sante, che si pronunciano mendr’, andich’, fondamendal’, Sand’. A proposito di Sante (santo), che naturalmente prende l’apostrofo davanti ai nomi inizianti per vocale (Sant’Antonie o ‘Ntonie, Sant’Ahostine, Sant’Amate-Sant’Antonio, Sant’Agostino, Sant’Amato) e resta invariato davanti alle consonanti (Sante Rocche, Santa Liberate, Santa Juste, Santa Rite-San Rocco, Santa Liberata, Santa Giusta, Santa Rita), esso è tronco in San Pietre, San Paule, San Bastiane, San Giuvanne (San Pietro, San Paolo, San Sebastiano, San Giovanni), mentre al plurale fa li sente Pietre e Paule (i santi Pietro e Paolo), e prende una a finale in Santa Nicole (San Nicola) perché ci sarebbe l’incontro di due e finali in Sante Nicole (che è sbagliato). Sant’Antonio abate è celebrato come lu Sant’Andune e si scrive così, per l’acquisizione dal gergo popolare e al di là di ogni regola ortografica. Nc in ng: ‘ncore (ancora) pr. ‘ngór’, manche (neanche) pr. mangh’, ma fa eccezione la province, le province-la provincia, le province, ecc. Ns in nz: Torre Sansone (la contrada Torre Sansone di Lanciano) pr. Tórr’ Sanzón’, pensà’ (pensare) pr. penzà, ecc. Rs in rz in persone (persona) che si pronuncia perzon’, cunserve (la conserva) che suona come cunzerv’, ecc.

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Il gu dell’italiano si trasforma nella scrittura e nella pronuncia lancianese in gh, con la g sostituita dalla c nella scrittura, con un suono gutturale come in lu sanche (sangue) che si dice lu sángh’, la lenche (l’organo della lingua) pr. la léngh’, fehure (figura) pr. f’gur’, mentre nenche (nevica) e nenchenne (nevicando) suonano nengu’ e n’ngu’enn’, con le g quasi accompagnate da una u, ecc.

L’italiano co diventa cu nella scrittura e nella parlata lancianese come in cunosce’ (conoscere), cunsulà’ (consolare), cuscienze (coscienza), Cumune (il Municipio), cunsultate (consultato), ecc., ma fanno eccezione comune (in senso generico, la gente comune), conche, ecc., mentre cooperativa si scrive coperative. Il vo dell’italiano si trasforma in vu come in avvucate (avvocato), duvute (dovuto-i-a-e), favurevule (favorevole-i, con due variazioni), lavure (lavori), pruvucà’ (provocare), li Schiavune (gli Schiavoni), vulé’ (volere). La parola cunsapevulezze (consapevolezza) racchiude le modificazioni dalle desinenze italiane co e vo a quelle del lancianese cu e vu. So dell’italiano si trasforma in su come in susteneture (sostenitore-i o anche fiancheggiatore-i), suppresse (soppresso-a), ecc. Po è pu nel lancianese come in pussesse (possesso), ecc.

Alcuni dittonghi del lancianese ricalcano i suoni italiani, con l’incontro di una a dolce e una u aspra come in l’autunne (l’autunno), due vocali dolci in lu fiume (il fiume), una i dolce ed una o aspra in lu fiore (il fiore), e le due vocali pronunciate insieme hanno sempre la stessa durata di una sola vocale, ma quando i lancianesi pronunciano le vocali toniche, specialmente ad inizio di parola, queste prevalgono nettamente sulle altre vocali accompagnanti. Poi nel lancianese s’evidenziano molti dittonghi finali, corrispondenti agli italiani ea ed eo, ed ai plurali ee ed ei, che vengono sostituiti da una e accentata subito seguita da una e atona: assemblée (assemblea), arée (area), Bartulumée (Bartolomeo), cerenée (cireneo), Corsée (Via Corsea a Lanciano), cortée (corteo), ebrée (ebreo), europée (europeo), estranée (estraneo), Galilée Galilée (Galileo Galilei), licée (liceo), idehée (idea, pr. i-dé-‘), lignée (ligneo), linée (linea), matronée (matroneo), musée (museo), nuclée (nucleo), partenopée (partenopeo), platée (platea), pronée (pronao), scultorée (scultoreo), sutterranée (sotterraneo), Taddée (il cognome Taddeo), ecc. Nei trittonghi della parlata lancianese la j sostituisce spesso la vocale i italiana e guaio è huaje. Per lo iato il lancianese usa la dieresi, per lasciare ad ogni vocale il proprio suono, soprattutto nelle ï (malatïe-malattia con la perdita in questo caso di una t, nella scrittura e nella pronuncia, nei confronti dell’italiano).

Esiste una grande confusione in tutto ciò che ruota intorno alla parlata lancianese per quanto riguarda l’uso della ç, naturalmente derivante dal francese, per rappresentare graficamente il suono sci e sce delle parole italiane. Anche qui va rimarcata la netta differenzazione tra la scrittura ed il parlato, ed accuçì (così), cunuçiute (conosciuto-a), nisçiune (nessuno-a), lu çineche (il sindaco, ma ormai si dice lu sindeche), che troviamo in molti scritti dialettali, vanno scritti accuscì, cunusciute, nesciune, lu scineche. Questo suono sci e sce, che non può essere rappresentato graficamente con la ç, ed è designato foneticamente con [ʃ] nel lancianese (mentre nel francese è [õ]), è una fricativa palatale sorda (scemecemә]-scemo, che ha il medesimo suono di scéme-usciamo), e se si trova tra due vocali (lu fasciole, li fasciule [faʃciolә-faʃciulә]-fagiolo-i, da cui capì’ cice pe’ fasciule-equivocare), nel lancianese c’è un suono molto allungato. La contraddizione risulta evidente negli scritti dialettali quando non si trova mai scritto Piazza Plebisçite, che è errato ed esatto solo nella pronuncia, ma sempre, semplicemente e giustamente, Piazza Plebiscite.

La bilabiale b iniziale delle parole italiane muta spesso nella fricativa v nella scrittura e nel suono lancianesi dove diventa una labiodentale (ovvero il suono italiano impegna le labbra, quello lancianese anche i denti): la varve (barba), lu varviere (barbiere), lu vaccile (bacino), vasse (basso-a), vesse (bassi-e), la vrace (brace), lu vrasciere (braciere), lu vracce, li vrecce (braccio-a), vatte’ (battere e menare), vattele (menalo), lu vedelle, li vedille (budello-i), la velance (bilancia), la vrecce (breccia), veve’ (bere), la vocche (bocca), lu vove-li vuve (bue-buoi), la vuccette (boccettà), vullente (bollente), vussà’ (bussare e spingere), ecc. Questi termini dialettali riprendono poi la desinenza italiana m, la raddoppiano nella pronuncia e la fanno precedere da un apostrofo quando indicano l’azione d’imboccare (‘mbuccà’), imbracciare (‘mbraccià’), imbiancare (‘mbiancà’ e pure sbianchì’), bagnare (‘mbonne’), bagnato-i-a-e (‘mbusse), imbrattare (‘mbrattà’), mbrogliare (‘mbrujà’, con una sola j, e ‘mbrujjone‘-mbrujjune-imbroglione-i), imbustare (‘mbustà’), ecc. Gli scambi tra la b e la v sono fondamentali per capire i primordi del dialetto lancianese che aveva avuto una certa fissazione definitiva con l’osco-umbro, poi sovrapposto dal latino volgare e in minor misura da quello colto con la romanizzazione. Altri ricordi dell’osco-umbro: abballe (là sotto) che ha conservato le due bb dell’osco umbro, come pure abbijà’ (avviare e affrettarsi) e abberrutà’ o abburrutà’ (avvolgere), ecc. Ed ancora: l’nd italiano si assimila in nn come in monne (mondo), fonne (fondo), venne’ (vendere), cumprenne’ (comprendere), nasconne’ (nascondere), ecc., sempre conservando le nn dell’osco-umbro.

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Un'altra assimilazione del lancianese avviene con l’mb dell’italiano che diventa mm come in mammocce (bamboccio) e lu gammere (gambero), ecc.

Nel lancianese le parole terminanti con consonante subiscono l’aggiunta di altri fonemi (epitesi) che sono di solito le e atone finali, oppure raddoppiano la consonante terminale, o rifiutano l’ultima e: norde, sudde, est, ovest, lu-li barre (il-i bar), scicche (chic), zigghe zagghe (zig zag) ecc.

Nel lancianese c’è l’aferesi di alcune vocali iniziali atone, con la a e la i davanti ad una m e una n, come in ‘ncore (ancora), 'ncumplete (incumpleto-i-a-e), ‘nfatte (infatti), ‘nnunciate (annunciato), la ‘Nnunziate (l’Annunziata), ‘mportante (importante), ‘nventà’ (inventare), e in ‘ngele-angelo la pronuncia è dolce e leggermente nasale, mentre in ‘mmalate-malato il suono è più duro. A volte l’aferesi non avviene per ragioni eufoniche come in a la destre de chi entre (alla destra di chi entra, e qui entre non è apostrofato all’inizio) o in un altro famoso detto lancianese rivolto a chi fa finta di non sentire, da na recchie je entre e da l’atre je esce (letteralmente, parlando dei consigli dati, “da un orecchio gli entrano e dall’altro gli escono”).

Poi i lancianesi raddoppiano molte consonanti iniziali, mai nella scrittura e sempre nelle pronunce, che sono bbèlle (bello-i-a-e), bbòne (buono-i-a-e), bbénedette (benedetto-i-a-e), cchiù (più), Ccriste (Cristo), ddu (numero due), ffa’ (fare), ggià (già), ggente (gente), mmorte (morte e morto), rrebbelle (ribelle), che devono però essere semplicemente scritti belle, bone, benedette, chiù, Criste, du, fa’, già, gente, morte, rebelle.

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Altri vocalismi

La parlata lancianese non ha il dono delle eleganza ed è grossolana, sconveniente, plateale, troppo gutturale nelle vocali iniziali aspirate e nelle mediane che vengono allungate a dismisura, ma la comprensione linguistica ne guadagna in chiarezza, espressività, esuberanza, intensità. Ed i lancianesi si distinguono per l’accentazione delle vocali toniche nella prima sillaba ed una maniera di comunicare, propria dei dialetti, colorita, con una lingua che viene continuamente inventata nel lessico e nelle espressioni idiomatiche.

I fenomeni vocalici del lancianese potrebbero essere 11, parlando naturalmente delle vocali toniche e della e atona, ma con riserva per le differenze acustiche delle individuali pronunce, e volendo tentarne una trascrizione fonetica si hanno: la a aperta [L] e la a chiusa [α]--- [e] per é, [є] per è, [ә] per e atona--- [i] come in italiano e la i lunga [j]--- o aperto [כ] e o chiuso [o]---la [u] breve e la u particolare [w] come in quanne [kwannә]-quando. Si aggiungano poi le vocali allungate [L:], [α:], [e:], [u:], ecc., che connotano le “perfomance anarchiche” di ogni singola espressività della parlatura lancianese.

La a è la vocale più aperta e può avere un suono grave (à, nella parte terminale dei vocaboli come negli infiniti dei verbi della 1a declinazione), o acuto (pronuncia á, di solito quando fa parte della prima sillaba o si trova nel corpo della parola).

Della e abbiamo già detto che ha un suono grave (èsse’-verbo essere), o acuto (ésse-egli, ella, esso), o è atona alla fine della stragrande maggioranza delle parole del dialetto lancianese. La e atona iniziale di parola subisce l’aferesi, ma con meno frequenza delle altre vocali.

La i, che ha un suono abbastanza simile all’italiano, è particolare nel lancianese, dove si scrive in alcune parole (Madonne de lu Carmine, assignate, derivate) pur suonando come una e.

Anche della o è stato già detto che ha un suono grave (pronuncia le bbòt’-le percosse) ed uno acuto (pr. la bbótt’-la damigiana), che è particolarmente allungato ed espressivo nella bocca dei lancianesi. Cade qualche volta quand’è iniziale di parola (lu spedale-l’ospedale), senza essere preceduto dall’apostrofo e appoggiandosi totalmente agli articoli.

La u suona di solito normalmente come in italiano [u], senza nessuna influenza della u francese, ma è notevolmente accentuata dai lancianesi nel corpo delle parole (s’è morte de brutte, ha fatto una brutta fine-pron. s’è mmort’ d’ brú-tt’, mentre di una persona molto brutta si dice è brutte gné nu debete-debito). E abbiamo pure quelle [kwellә]-quello-a col simbolo fonetico [w]. Nelle parole inizianti con la u atona si ha l’aferesi (‘nguente-unguento, lu ‘mbrelle-l’ombrello, che sono dei chiari italianismi).

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Altri consonantismi

Ripetiamo che nella pronuncia lancianese le consonanti quasi sempre vengono raddoppiate, specie quando sono iniziali di parole.

La b (occlusiva, bilabiale, sonora, col simbolo fonetico [b]) si raddoppia quasi sempre nella pronuncia quand’è iniziale e mediana di parole (libre-libro-i [libbrә], rebelle, rebille-ribelle-i [rebbәllә- rebbillә]).

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 La c ha ha un suono gutturale (occlusivo, palatale, sordo [k]) quando è seguito da a, o, u - lu cane ([kane]-il cane), la code ([kodә]-la coda), secule ([sєkulә]-secolo-i), la cuffie ([kuffiә]-la cuffia), oppure è palatale sordo quando precede una consonante o la h - che [kє]. Il suono invece è dolce (ed è un’affricata palatale, alveopalatale, sorda [tʃ]) quando è seguita dalle vocali e ed i come in la cene ([tʃєnә]-la cena), novecente ([novә’tʃєntә]-novecento), lu citele ([tʃitәlә]-il bambino), ecc. Poi a volte la c si sostituisce alla g delle parole italiane (casciare-gazzarra, ma lu casciare è colui che lavora o vende lu cace-il cacio), ecc.

La d (occlusiva, dentale, sonora [d]) ha un suono duro e si raddoppia quasi sempre nella pronuncia, specie ad inizio di parola (da’, dare, pr. ddà, m’avé ditte, m’aveva detto, pr. m’avé dditt’). E rispetto all’italiano la d si tronca in molte parole lancianesi come in quattorece-14 e quinece-15.

La f (fricativa, labiodentale sorda [f]) è statica nell’ortografia e nella pronuncia rispetto ai vocaboli italiani, e qualche volta nel lancianese muta nella relativa fricativa sonora v (fafe-fava).

La g ha un suono gutturale (occlusivo, velare, sonoro [g]) quando è seguita da a, o, u - la gare (la gara), la gole (gola), lu guste (il gusto), che si scrivono hare, hole e huste, e dolce (affricata palatale e sempre sonora [dƷ]) davanti ad i ed e - gialle (giallo), lu gelate (il gelato). Inoltre, in alcuni vocaboli, è sostituito da j come in lu jenere-li jinire (genero-i). Gn di gné-come ha il simbolo fonetico [gŋ], e questa [ŋ] è un terzo fonema nasale dopo [m] e [n] che naturalmente incontreremo dopo.

La h muta ([h]) ha una funzione puramente ortografica e nella parlata lancianese l’articolo che la precede non tende ad apostrofarsi. Di solito è leggermente aspirata come nelle voci verbali del presente indicativo di avé’-avere (jì haje, tu hì, hisse hanne-io ho, tu hai, essi hanno), ma estende il suono della vocale che la segue nelle esclamazioni, dà una sonorità gutturale a c e g davanti alle vocali (la halline si pronuncia la galline con un’aspirazione iniziale [‘h]) e non si raddoppia mai nel corpo della parola.

La l (fricativa, alveolare, liquida, laterale, dentale, sonora [l]) nel lancianese si scambia con l’altra liquida r come è avvenuto in l’albere (l’albero) dal latino arbor e avviene nella pronuncia di scalecagnette (piccolo raggiro) che suona scarecagnette; poi, a volte, la stessa l perde una vocale atona iniziale nel passaggio dall’italiano (lefante-elefante, lemosene-elemosina), è talvolta rimpiazzata dalla v (avezà’-alzare), viene assimilata in cacche (qualche), viene raddoppiata nella pronuncia, specie ad inizio di parola, e molte volte non si discosta dall’italiano quando si trova in mezzo a delle vocali e a delle consonanti che la proteggono.

La m (occlusiva, bilabiale, nasale sonora [m]) suona come in italiano, e si raddoppia nella pronuncia all’inizio delle parole (‘midie-invidia si dice ‘mmidi’) e raramente nel corpo di esse.

 La n (occlusiva, nasale, dentale, sonora [n]) suona come nell’italiano e si raddoppia nella pronuncia quand’è posta all’inizio delle parole.

La p (occlusiva, bilabiale, sorda [p]) ricalca il suono dell’italiano.

La q (occlusiva labiovelare sorda [q] o [k] in quase [kwaze]-quasi), come in italiano ha un suono gutturale quand’è accoppiato ad u (quajà-coagulare il latte e scappare per la paura, quattre-il numero quattro, quaderne, ecc.), e mentre in italiano si raddoppia solo in soqquadro, non lo fa mai nel lancianese dove questo termine manca e italianizzandolo si può dire che ce stave na granne cunfusione dentre a la camera mé – la mia camera stava a soqquadro.

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La r (fricativa, dentale, alveolare, liquida, vibrante, sonora [r]) del lancianese ha un suono più marcato rispetto all’italiano, e viene raddoppiata nella pronuncia all’inizio e all’interno delle parole, e nella scrittura nei tempi del futuro e nel modo condizionale. Poi si sovrappone ad una vocale iniziale atona delle derivanti parole italiane (la recchie-l’orecchio, lu relloge-l’orologio, e qui pr. rrellogg’), fa troncare la g iniziale delle corrispondenti parole italiane (lu ‘rane-il grano) e le desinenze re degli infiniti dei verbi italiani (studià’, scrive’, murì’-studiare, scrivere, morire), e compare quasi all’improvviso in molti vocaboli per impellenti ragioni eufoniche; infine, a volte si scambia con l’altra liquida l come in curtelle (coltello), o scambiandosi ad inizio di parola con un senso totalmente diverso come in rane e lane (rana-lana), mentre canarine (canarino e indica pure l’esofago) viene dal latino canalis.

La s (fricativa, alveo-dentale, sibilante, sorda [s] o sonora [z]), di cui abbiamo già detto che rs si sonorizza in rz, ha il suono sordo quand’è iniziale di parola (segge [segge]-sedia) o è post-consonatico (fijjarse [fijarsә]-partorire), mentre se è in posizione pre-consonantica ha un suono sordo se la consonante che la segue è sorda (‘mprestà’ [‘mprәstà]-dare in prestito), e sonoro se è seguita da una consonante sonora (aresbejjarse [arәsbәjarzә]-risvegliarsi), e nel lancianese la s, differentemente dall’italiano, è sorda in posizione intervocalica (rose [roze]-rosa). Inoltre la s del lancianese ha spesso un suono molto gutturale ed allungato sia quand’è iniziale di parola (scì’-uscire suona sscì…), sia quand’è mediana (bardasce-bambino che si dice bar-dáss-ce). Invece il suono è molto aspro quando è seguito dalle dentali t e d come in lu stare, li stere (canestro-i di vimini che le donne portavano sul capo e portano durante la la manifestazione de “Il Dono” a Lanciano l’8 settembre), o sdellabrate (di una cosa con gli orli sfilacciati e quasi inservibile). E la s, come nell’italiano, viene usata come prefisso delle parole tanto da cambiarne totalmente il valore come in schiuvà’ (togliere i chiodi, mentre metterli è ‘nchiuvà’), svestì’ (svestire, mentre vestì’ è vestire), scucì’ (scucire, mentre cucì’ è cucire), ecc.

La t (occlusiva, dentale, sorda [t]), di cui abbiamo già detto che nt si sonorizza in nd, ha di solito lo stesso suono dell’italiano e tende a raddoppiarsi solo nella pronuncia ad inizio di parola (tré-numero 3-pr. ttré) e con meno frequenza quand’è nel corpo della parola.

La v (fricativa, labiodentale, sonora [v]) conserva le desinenze italiane (lu vase-il vaso, lu vetre-il vetro), mentre molte parole italiane inizianti con b, e ci ripetiamo, prendono la v (la vocche-la bocca, ecc.).

La z di zie [tsiә]-zio (affricata, dentale, alveolare, sorda [ts]) tende a raddoppiarsi sovente nelle pronunce ma non prima del suffisso ione (la tradezione-la tradizione pr. trad’zion’), e si ha pure la z di zumpà’-saltare e zere-zero (fricativa alveolare sonora [z]). Inoltre, quando la z è in posizione intervocalica i lancianesi allungano la pronuncia (zozze-sporco, pr. zó-zz’). Un altro carattere fonetico della parlata lancianese è [ddz] come in ‘n mezze-in mezzo [m’mєddzә] .

La lettera J (semivocalica) è l’unica di quelle straniere che fa parte a pieno titolo del vocabolario lancianese con parole quali lu jenche, li jinche (vitello-i, ma per un certo periodo indicava anche un “vitellone”, con un chiara influenza della filmografia nazionale), la-le jerve (erba-e), jite (andato-a), jisce (esci), lu joche, li juche (gioco-chi), jucà’ (giocare), lu jorne, li jurne (giorno-i), lu-la judece, li-le judice (il-la giudice, i-le giudici), lu-li judizie (giudizio-i), jumente (cavalla, anche come apprezzamento ad una bella donna), juntà’ (o spaccheggiarse, spaventarsi), ecc. Sempre la j svolge un ruolo fondamentale nel sostituire il pronome personale italiano gli diventando je, come in je le se purtate? (glielo hai portato?), je le dicéme massere (glielo diciamo stasera), o per “esibirsi” in complicate espressioni verbali quali dajjele (daglielo), purtejjele (portaglielo, pr. púrt’-j-l’), mannajjele (mandarglielo, pr. manná-j’l’), mannejele (mandaglielo, pr. mann’- j’l’), e sostituisce anche la particella pronominale ci, come in je vedeme dumane (ci vediamo domani) che è diverso da ce puteme jì’ dumane (ci possiamo andare domani). Inoltre j sostituisce il giu dell’italiano in alcune parole come juste (giusto-i-a-e), dejune (digiuno-i), ecc.

Le altre lettere degli alfabeti stranieri, presenti nell’alfabeto italiano, vale a dire la K (occlusiva velare sorda [k]), la W (semivocalica della vocale i [w]), la X (semivocalico di i pronunciato insieme con la spirale sorda dentale s, e che è una fricativa velare sorda [x]), la Y (semivocalico di i [j]), non fanno parte del tradizionale glossario lancianese, ma non si può prescindere dal loro uso per arricchire il suo lessico con la traduzione dei vocaboli stranieri e fissare definitivamente il dialetto lancianese (nel cui alfabeto J e K, così come in quello italiano, vengono dopo la i, mentre W, X, e Y seguono la v e precedono quindi la z).

Li jurne de la settemane: lunedì, martedì, mercoledì, giuvedì pr. giú-v’-ddì, venerdì (ed è desueta la pronuncia vennàrdi), sabate, la dumeneche (l’unico di genere femminile).

Li mise: gennaje, febbraje, marze, aprile, magge, giugne, lujje, ahoste, settembre, ottobre, novembre, decembre.

Le stagione pr. staggión’: l’autunne, lu ‘nverne pr. ‘nvérn’, la premavere, l’estate pr. l’isstate.

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Articoli

Ricordiamo che servono innanzitutto a determinare genere e numero delle parole terminanti con la e atona.

Determinativi. Maschile singolare Lu e L’ davanti a vocale, al plurale è Li e L’ davanti a vocale (lu-li libre, il-i libro-i, l’occhie, l’ucchie-lo-gli occhio-i). Femminile singolare è La e L’ davanti a vocale, al plurale è Le e L’ davanti a vocale (la muntagne, le muntagne-la-le montagna-e, l’attrice, le attrice). Occorre chiarire che nel lancianese gli articoli determinativi possono prendere o non prendere l’apostrofo davanti agli aggettivi numerali cardinali e ordinali, e lu unece-lu 11, lu ottecente-l’800, lu uneceseme secule-l’undicesimo secolo, possono anche essere scritti l’unece o l’11, l’ottocente e l’uneceseme secule, così come si può scrivere lu uteme o l’uteme (l’ultimo), mentre le vocali sono sempre precedute da la che non è mai apostrofata: la a, la e, la i, la o, la u. Gli articoli determinativi non si uniscono mai, ed è una differenza tassativa dall’italiano, con le preposizioni semplici, per cui le preposizioni articolate del, della, degli, delle, ecc. fanno de lu, de la, de li, de le, ecc., oppure nche (con pr. ngh’) lu, nche la-con il o con la, e nchi (con pr. nghi) o nche li, nchi o nche le-con i o coi, con le. Inoltre, gli articoli determinativi non si premettono ai cognomi maschili, ai nomi di persone e di familiari, ai nomi delle città con qualche eccezione, ma sono obbligatori prima dei cognomi femminili e di quelli maschili al plurale, e sono inevitabili davanti ai nomi indicanti la professione (chiame Cotellesse-chiame la Cotellesse-li Cotellesse-chiame mammete-chiame Nicole-chiame lu mediche-Lanciane-lu Trejje - chiama Cotellessa-chiama la Cotellessa-i Cotellessa-chiama tua madre-chiama Nicola-chiama il medico-Lanciano-Treglio), ma precedono i soprannomi, lu sciancate (lo storpio), lu scineche (sindaco, ma qui detto in senso ironico-affettivo verso qualcuno che sta a capo di qualche commissione feste). Infine, gli articoli determinativi servono a rafforzare l’espressività della frase (tenghe lu sonne-ho sonno, sente lu calle-ho caldo, è lu té-è tuo). Indeterminativi. Maschile singolare Nu e N’ che si apostrofano sempre davanti a vocale, differentemente dall’italiano (n’amiche-un amico). Femminile singolare Na e N’ davanti a vocale. Come in italiano non hanno plurale e si usano cirte e certe per i maschili e per i femminili e molte volte cirte in modo quasi neutro per i due generi. --- Nu desegne, cirte designe (un-dei disegno-i), na cettà, cirte cettà (una-delle città), na chiese, certe chiese (una-delle chiese). Anch’essi vengono adoperati per accentuare l’espressività della frase (tenghe nu sonne!-ho un sonno!, sente nu calle!-ho un caldo!, tenghe na fame!-ho fame!), anche col senso del partitivo italiano (damme nu ccone pane, dammi un pò di pane, con ccone che si scrive come si pronuncia con le due c iniziali).

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Sostantivi

Ribadiamo che i sostantivi terminanti con la e atona si servono degli articoli per distinguere il genere e il numero, come in lu vine, li vine (il-i vino-i), oppure lu-li-la-le fijje (che vale il-i figlio-i, la-le figlia-e). Talvolta i sostantivi femminili terminano con una a quando c’è un’altra e atona finale in una parola che l’accompagna, di solito un aggettivo, come in chellé té na fijja grosse (quella ha una figlia grande), o la mamma mé!-mia mamma!, oppure con l’unione di due sostantivi come in la cuntrada Serrune (da la cuntrade, le cuntrade-contrada-e), ecc.

Nomi alterati: diminutivo, ine (it: ino-ini-ina-ine) per tutti i generi e numeri lu-li-la-le hattine, il-i-la-le gattino-i-a-e, che si pronuncia gattin’, derivante da lu-la hatte-gatto-a, e li-le hette-i gatti, ma micino si dice pure misce anche in senso vezzeggiativo, e poi abbiamo lu-li tavuline (piccola-e tavola-e, che nel lancianese è di genere maschile). Vezzeggiativo: ucce-iole-elle-ette (it: uccio-uccia-iola-etta-ette). Vediamo come: cavallucce per singolare e plurale (piccolo-i e/o grazioso-i cavallo-i), bardascelle, bardascille (piccolo-i e/o grazioso-i bimbo-i), bestiole per sing. e pl. (grazioso-i animaletto-i), chiesette per singolare e plurale (piccole e/o graziose chiese), ecc. Accrescitivo: one come in italiano, per cui i precedenti vezzeggiativi diventano cavallone, bestione, bardascione. E ancora lu stipe (l’armadio), lu stepette (armadiette) e lu stepone (armadione). Becchierucce è un piccolo bicchiere, mentre becchierine indica una leggera bevuta, e ancora canzone, canzuncine e canzunette, ecc. Lu hattone, un gatto grande e detto pure con affetto, pr. gatton’, è anche lu muscione, mentre lu cacciune (cucciolo di cane) è al diminutivo cacciunelle. Alle volte un dispregiativo assume un connotato positivo (nu libracce-un capolavoro, ma nu librazze assume vagamente una connotazione negativa), oppure un diminutivo viene usato per sminuire una persona o una cosa (come per bardasce detto ad un adulto, nu librette per un libro di poco conto), ecc.
Nomi difettivi: con un solo genere o addirittura con un genere in italiano ed un altro nel lancianese: le babbucce (pantofole per la casa), lu cchiale (gli occhiali, scritto come si pronuncia con due cc), li calanche (i calanchi), le caveze (i pantaloni), lu frovece (le forbici), lu miele (il miele), oppure Villa Andreole, la contrada di Lanciano curiosamente chiamata solo al plurale li ‘Ndreiule, ecc.
 Nomi sovrabbondanti: li corne (i corni, strumenti musicali), le corne (degli animali o come segno di infedeltà), ecc. 
Quando è impossibile specificare il genere degli animali come per lu cane, la cagne (il cane, la cagna), o con l’aiuto dell’articolo in lu hatte e la hatte (gatto-a), si usano maschie e femmene e si dice la tigre maschie e la tigre femmene; oppure per differenziare il frutto, la live-l’oliva, dall’albero da frutto, usiamo la locuzione lu pede o nu pede de live (l’albero dell’ulivo), oppure lu pere è l’albero da frutto mentre la pere è il frutto, ecc.

Due sostantivi ripetuti enfatizzano la frase come in pizze pizze (pr. pizz’ pizz’, si usa per una cosa fatta a pezzi), strade strade (andare di strada in strada), man mane (passo dopo passo), mentre certe volte, quando il primo termine ripetuto prende la desinenza a al posto della e atona, il significato cambia radicalmente e strada strade significa costeggiare un luogo molto da vicino, e ancora vattene via vie (vattene adagio) o peda-pede (quasi “di piede in piede”), ecc.

A volte i lancianesi usano una singola parola per abbreviare un concetto, mentre altri vocaboli vengono espressivamente elaborati come in la calate de lu sole che sta per tramonte (tramonto). Oppure si usano diversi termini per definire singole cose e l’ubriacatura, oltre a riferirsi a ubriacarsi (‘mbriacarse), ubriacato (‘mbriacate), ubriaco (‘mbriache), è variamente definita come lu chiove (chiodo), la piche (intraducibile), la scimmie, lu simigge (che è in effetti è un piccolo chiodo, pronunciato anche siminge), mentre l’ubriacone è lu picarole. Poi nu chiove (al plurale li chiuve-chiodi) e nu pence (sost. pl. li pince che significa tegola-e oppure coppo-i, e si pronuncia peng’) qualificano un brutto film o una persona pesante, e per essere ancora più incisivi si dice si nu chiove arebattute (sei un “chiodo” più volte ribattuto), ed ancora nu pence rotte è metaforico, benevolo ed ironico per additare qualcuno o qualcosa mancante di qualche qualità specifica. A volte il dialetto lancianese è “tremendo” e da li cochele (le bocce da gioco) è derivato l’usatissimo detto nen si cochele da fa’ punte-letteralmente non sei una boccia capace di far punti, con cui si apostrofa chi non conta nulla, oppure è maggiormente esagerato quando da la-le cosse (gamba-e) deriva l’espressione pe’ cosse-per gamba, rivolta a chi vuol nascondere l’età.

Dei sostantivi anne-enne, anno-i, va detto che enne al plurale si pronuncia molte volte anne come in cent’enne-cent’anni che suona cent’ann’.

I nomi dei popoli vengono scritti con la lettera grande e quando sono aggettivati con quella piccola, e delle parole tipo Medioeve possono anche essere scritte con l’iniziale minuscola.

Infine abbiamo alcuni diminutivi molto espressivi dei nomi propri: da Antonio si hanno ‘Ntonie e ‘Ntuniucce, e per le donne ‘Ntoniette o ‘Ntuniette; da Concetta vengono Cuncettine, Tettine o solo Titti; da Francesco derivano Francische e Ceccucce; Giovanni è Giuvanne e Giannine; Giuseppe si trasforma in Peppine, Peppinucce o addirittura Peppenone; Lucia è affettuosamente Cijette; Rosa diviene Rusenelle; Teresa è Teresenelle, ecc.

 

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Aggettivi
 
Anche per gli aggettivi terminanti con la e muta la comprensione di genere e numero dipende dagli articoli o dal contesto della frase. Es.: è na cettà antiche (è una città antica); nu sacche d’oggitte antiche (molti oggetti antichi); na strada antiche (una strada antica); certe strade antiche (strade antiche); ecc. In questi casi antiche è invariabile nel genere e nel numero e si pronuncia‘ndich’. A volte, unito ad un sostantivo, l’aggettivo varia la desinenza finale prendendo la a del femminile italiano così come fa certe volte il sostantivo a contatto con un aggettivo, per cui si hanno la chiesa belle e na bella chiese, e na mamma belle (una mamma bella) e na bella mamme! (una bella mamma!), n’antica chiese (un’antica chiesa, che ha un altro significato rispetto a na chiese antiche che ne sottolinea maggiormente il valore archetettonico), na scola elementare e na scola materne (per scuola elementare e materna), ecc.
Anche cogli aggettivi i plurali irregolari mutano le vocali attraverso la metafonesi che nel lancianese è del tipo sannita (i e u sono invariabili): grosse, grusse (grande-i); rebelle, rebille (ribelle-i); verde, virde (verde-i), larghe, lerghe (largo, larghi), ecc.

Per quanto riguarda la sintassi gli aggettivi, che abitualmente seguono il sostantivo, si possono mettere prima o dopo senza alterare il significato della frase (grusse pilestre e pilestre grusse-grandi pilastri) o mutano radicalmente il senso del discorso (n’ommene granne è un uomo grande, mentre nu granne ommene è un genio, e grann’omene può essere apostrofato solo nella pronuncia e mai nella scrittura).

Aggettivi dimostrativi: Stu libre, sti libre (questo-i libro-i), sta chiese, ste chiese (questa-e chiesa-e). Chelu libre, cheli libre (quel-quei libro-i), chela chiese, chele chiese (quella-e chiesa-e). Di una cosa o di cose vicinissima-e a chi parla e a chi ascolta: su libre, si libre; sa chiese se chiese (pronunce con due ss iniziali). E poi queste-quiste, quesse-quisse, quelle-quille (questo-i-a-e, quello-i-a-e), con espressioni composte tipo quisse a esse (quelle la, vicino a chi ascolta), quiste a ecche (vicino a chi parla). Ed ancora stesse (stesso), tale (tale), ecc.

Aggettivi possessivi (vanno sempre dopo il sostantivo ed altre parti del discorso): al singolare si usano , té, sé se c’è un sostantivo singolare (lu libre mé – il mio libro) e ,,se il sostantivo è plurale (li libre mì – i miei libri). Al plurale abbiamo nostre, vostre, de hisse e talvolta lore - it. loro - ormai introdotto dall’italianizzazione, se riferito a parti del discorso al singolare (lu libre nostre–il nostro libro), e nustre, vustre e de hisse e/o lore per parti del discorso al plurale (li libre nustre–i nostri libri). Inoltre si hanno proprie (proprio) e l’atre, o l’atru (l’altro), l’atra (l’altra), l’etre (gli altri, le altre), ecc.

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Gli aggettivi alterati coi suffissi ette-one-accie richiedono un insostibuile impegno espressivo nella pronuncia per evitare equivoci e rendere il senso pieno di quello che si vuol significare: vecchiette (diminutivo-vezzeggiativo), vecchione (accrescitivo oppure me simbre nu vecchie-ti comporti come se fossi più grande), vecchiacce (dispregiativo), vedellone (chi mangia molto), vrettelone (persona molto sudicia), vuccalone (chi straparla), ecc.

Due aggettivi ripetuti amplificano il significato della frase come in chiane chiane (pian piano, che indica un modo di procedere lentissimo) o ‘n frette e furie (in fretta e furia), o lesta leste (velocemente), o secche secche (magrissimo, che in certe pronunce è sicche sicche), o zeppe zeppe (di un luogo affollato o di una cosa “piena piena”), ecc.

I comparativi si fanno con chiù, mene e gné (più-meno-come): chela porte è chiù (pronuncia con due cc) grosse de chell’atre (quella porta è più grande di quell’altra); chela porte è mene avete de chell’atre (quella porta è meno grande di quell’altra); chela porte è avete gné chell’atre (quella porta è grande come quell’altra). Nel lancianese lu chiù mejje (il migliore) si può dire.

Il superlativo assoluto si forma con due aggettivi, di cui il secondo rafforza il primo (nu sacche grosse o al di fuori di ogni regola grosse nu sacche-grandissimo, stanche morte-stanchissimo, zozze e vrette-zozzo sudicio) ed ormai coi suffissi issime-issima-issime: stu citele è bellissime (questo bimbo è bellissimo), sti citele so’ bellissime (questi bimbi sono bellissimi), sta citele è bellissime (questa bimba è bellissima), ste citele so’ bellissime (queste bimbe sono bellissime), ma si dice pure sta citele è naprese belle o belle naprese (con gli ovvi cambiamenti di significato, e qui si capisce dalla pronuncia che belle e naprese non prendono la a dovuta all’incontro di due aggettivi terminanti con la e atona). Il superlativo assoluto è pure espresso con delle espressioni esclamative connotanti delle qualità assolute come in Che belle!, Quant’è grosse! (ma dipende molto dall’intonazione della voce).

Il superlativo relativo si forma con chiù, mejje-mijje (meglio-i), mejjore-mejjure (migliore-i) - Stu citele è lu chiù brave de tutte quenne-questo bambino è il più bravo tra tutti, ma in effetti si dice stu citele è lu mejje. Comparativi e superlativi irregolari: de sopre (alla parte superiore), de sotte (alla parte inferiore), chiù prime e chiù dope, massime (massimo), minime (minimo), otteme (ottimo), pessime (pessimo), ecc.

Aggettivi indefiniti: Cacche (qualche), cacchedune (qualcuno), certe, cirte (certo-i alcuno-i), nesciune (nessuno), ugne (ogni), ecc.

Aggettivi interrogativi: Che?, Quale?, Quante?, Quande?, ecc. (differenziati dall’italiano con una particolare espressività locale), ecc.

Aggettivi esclamativi: Quante è belle! (Quant’è bello-a), quante è grosse! (quant’è grande), ecc.

Aggettivi numerali: cardinali: Une, du (pronuncia ddù), tre (pr. ttre), quattre, cinche, seje, sette, otte, nove, dece, unece, dodece, tredece, quattorece, quinece, sedece, deciassette, deciotte, deciannove, vente, ventune, ventedu, trente, quarante, quarante une, quaranta due (e non quarante due), quaranta tre, cinchante (nella pronuncia si avvicina di molto all’italiano e suona cinquante), sessante, settante, ottante, novante, cente, cente e une, cente e du, cente e dece, ducente, trecente, quattrecente, cinchecente, sejecente, settecente, ottecente, novecente, mille, mille e cente, mille e ducente, dumile, tremile, quattremile, decemile, nu mijone, nu mijarde, ecc.

Ordinali: prime, seconde, terze, quarte, quinte, seste, settime, ottave o uttave, none, deceme, uneceseme, dodeceseme, tredeceseme, quattoreceseme, quineceseme, sedeceseme, deciassetteseme, deciotteseme, deciannoveseme, venteseme, ventuneseme, trenteseme, quaranteseme, quarantunesime, quarantaduesime, quarantatreesime, cinchanteseme (ormai pronunciato cinquantesime), sessanteseme, settanteseme, ottanteseme, novanteseme, centeseme, ducenteseme, trecenteseme, quattrecenteseme, cinchecenteseme, sejecenteseme, settecenteseme, ottecenteseme, novecenteseme, milleseme, ecc.

Numerali moltiplicativi: doppie (doppio, mentre talute è desueto e lo dice solo qualche “nostalgico” in alcune contrade lancianesi), triple (triplo), quadruple (quadruplo), ecc.

 Numerali frazionari: du terze (due terzi), tre quarte (tre quarti), ecc.

Numerali collettivi: nu pare (un paio), na coppie (una coppia), na duzzine (una dozzina), na ventine (una ventina), nu centenare (un centinaio), nu mijjare (un migliaio) o più espressivamente indefinito na mijjaranne, ecc.

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Pronomi

Pronomi personali soggetto. Servono a distinguere il genere e il numero dei vocaboli e non sempre si possono sottindendere. 1a pers. sing. - (io, che ha la stessa pronuncia di jì’-andare) - 2a p.s. - tu (tu), - 3a p.s. - ésse (egli, ella, esso, essa) e le per lo e gli dell’italiano - 1a p.pl. - nu (noi) - 2a p.pl. - vu (voi) - 3a p.pl. - hisse (essi, esse). Esempi: Jì me le so’ pijjate (l’ho preso), te le so’ date (te l’ho dato), nu ve le séme purtate (ve l’abbiamo portato), ve le so’ date (ve l’ho dato), ecc. Nei rapporti interpersonali i lancianesi non usano il lei, casomai il vu-voi, ma molto molto confidenzialmente il tu oppure chiamando affettuosamente per nome, ed è ormai desueto l’uso di signurì (signore, come segno di deferenza specie verso gli anziani).

Pronomi personali complemento: 1a pers. sing. Mé, de mé, a mé,   - 2a p.s. té, de té, a té, tì, - 3a p.s. de (a) ésse, de sé, a sé, - 1a p.pl. nu, e de (a) nu, - 2a p.pl. vu, e de (a) vu. - 3a p. pl de (a) hisse ed ORMAI SI USA PURE LORE (LORO) - ANNOME LASSATE LA CASA LORE – HANNO LASCIATO LA LORO CASA. Esempi: damme lu libre té ca so’ perse lu mé (dammi il tuo libro perché ho perso il mio), stu libre è lu sé (questo libro è suo), damme li libre mì (dammi i miei libri), damme li libre tì ca so’ perse le mì (dammi i tuoi libri perché ho perso i miei), sti libre è li sì (questi libri sono suoi, con la è del singolare in una frase al plurale, potenza del dialetto…). , , , , , suonano mmé, tté, ssé, mmì, ttì, s, mentre libre si pronuncia con due bb.

Pronomi possessivi (seguono sempre i nomi e le altre parti del discorso): coi sostantivi singolari per ambedue i generi si usano , ,(lu quartiere mé – il mio quartiere, la cettà mé – la mia città) e ,,coi sostantivi plurali per ambedue i generi (li quartïere mì – i miei quartieri, le cettà mì – le mie città). Nei rapporti di parentela i pronomi possessivi rifiutano l’articolo e si fondono con le particelle pronominali: petreme (papà), matreme (mamma), frateme (mio fratello), fratete (tuo fratello), li freteme (i miei fratelli), soreme (mia sorella), sorete (tua sorella), le soreme (le mie sorelle), le sorete (le tue sorelle), fijjeme (mio-a figlio-a), fijjete (tuo-a figlio-a), ziejeme (mio-a zio-a), ziejete (tuo-a zio-a), cunateme (mio-a cognato-a), cunatete (tuo-a cognato-a), nepoteme (mio-a nipote), nepotete (tuo-a nipote), ecc. Poi, col o col si formano delle esclamazioni affettuose come o mamma mé! (mamma carissima!), sorasé! (sorella mia!), ziasé! (detto-a da uno-a zio-a ad un caro nipote!), papasé (dal papà ad un-una caro-a figlio-a!), mammasé (dalla mamma ad un-una caro figlio-a!), ecc. Sciore, scioreme, sciorete (nonno-mio nonno-tuo nonno) sono ormai delle forme arcaiche sostituite dagli italianizzanti nonnò, nonnò mé, nonnò té che valgono sia per il maschile che per il femminile. I pronomi possessivi plurali sono nostre, vostre, de hisse e talvolta l’italianizzante lore, se riferito a parti del discorso al singolare (lu libre té e lu nostre-il tuo libro e il nostro), e nustre, vustre, de hisse e/o lore per parti del discorso al plurale (li libre tì e li nustre-i tuoi libri ed i nostri). Inoltre abbiamo Proprie (proprio).

Pronomi dimostrativi: Stu, su (questo), sti, si (questi); sta, sa (questa), ste, se (queste); ed ancora queste (questo-a), quiste (questi-e), queste (codesto-i), quisse (codesto-i), quelle (quello-a), quille (quelli-e), chell’atre, chell’atra (quell’altro-quell’altra), chell’etre (quegli altri-quelle altre). Su, si, sa, se si pronunciano con due ss all’inizio. Esempi: quelle a elle (quella la, vicino a chi ascolta), quiste a ecche (questi qua, vicino a chi parla), so’ lette stu libre e dope chell’altre (ho letto questo libro e poi quell’altro), so’ lette stu libre e dope chell’etre (ho letto questo libro e poi quegli altri), ecc. Ed ancora: custù (costui), cussù (questo qui vicino a chi ascolta), quelle, chelu (quello), quille, cheli (quelli), quella-e, chela, chele (quelle), cullù (quello lì), e al femminile sono chesté (questa qui) e chessé (quella lì, vicino a chi ascolta), per cui lu libre è de custù, cussù, cullù, chesté, chessé (il libro è di…), ecc. E poi stesse (stesso), tale (tale), ecc.

Pronomi indefiniti: Certe (alcuno-a), cirte (alcuni-e), une (una persona o cosa non specificata), cacchedune (qualcuno), nesciune (nessuno), cacche (qualche), ugne (ogni), ma soprattutto annome, che ricalca molto da vicino l’on ma dit francese, ed è una caratteristica peculiare di qualche dialetto italiano ed è importantissimo in quello lancianese (m‘annome ditte-mi hanno detto, annome dice tra de hisse-dicono tra loro, annome jite a la scole-sono andati a scuola, annom’arescite a le otte-sono riusciti alle 8, cirte annome menute e cirte annom’aremaste a la case-alcuni sono venuti ed altri son rimasti a casa).

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Pronomi relativi: che o talvolta ca, per esigenze eufoniche, e chi, i quali sono invariabili in genere e numero, e poi lu quale, li quele (il-i quale-i), la quale-le quele (la-e quale-i) che sostituiscono gli italiani cui, a cui, di cui, ecc., quelle, quille (quello-a, quelli-e), quante (quanto), ecc. Es.: Cullù che té legge lu libre (quello che legge il libro – da notare nell’espressione dialettale l’analogia col present continuous inglese e il presente francese con je suis en train de+l’infinito, che i lancianesi fanno coi verbi tené’ e sta’), quille a li quele so’ date li libre mì (quelli ai quali ho dato i miei libri), lu jorne ca so’ nate (il giorno in cui son nato), lu mese ca so’ menute (il mese in cui son venuto), a ditte quant’avaste (ha detto abbastanza), ecc.

Pronomi interrogativi: Chi? e Che? col raddoppiamento della consonante iniziale a seconda dell’espressività della frase, e poi Quale?, Quante?, Quande?, nche chi al singolare e al plurale per le persone (nche chi vì?-con chi vai? e nche chi jete?-con chi andate?), nche che per le cose al sing. e pl. (nche che li fì-con che lo fai?, nche che li facete-con che lo fate?) E poi ancora: ch’ a menute? (chi è venuto?), a che serve su libre? (a chi serve quel libro?), che stì a o tì fa’? (che stai a fare?), chi è e che è? (chi è?- cos’è?), che libre vù? (quale libro vuoi?), ecc.

Pronomi riflessivi: si formano con le particelle le, me, se, te, e più raramente si, mi, unite ai pronomi personali e alle forme verbali, dopo un imperativo, ecc. Esempi: Jì m’allave (mi lavo), Lucie se deverte (Lucia si diverte), fa tutte da sé (fa tutto lui), pense sole a ésse (pensa solo a lui), falle tu! (fallo tu!), ecc.

Particelle pronominali: ce, me, se, te, ve, (ci, mi, si, ti, vi), dalle quali si hanno me lo so’ lette (l’ho letto-i), te le so’ ditte (te l’ho detto), ve l’avéme ditte (ve l’abbiamo detto), te le so’ date (te l’ho dato), ve le séme purtate (ve l’abbiamo portato), ecc. Esse precedono i verbi: se fa (si fa), se dice (si dice), te le legge (te lo leggo), che se ditte? (che hai detto?), che t’accunte? (che ti credi?), chi me tené a cercà’ (chi mi cercava?), si lette lu libre? (hai letto il libro?), vulevate a mé (volevate me?), ecc. E poi a dareme (a darmi), a fareme (a farmi), a farece (a farci), landele (lascialo), pijjele (piglialo), ecc., con la e mediana quasi annullata nella pronuncia. Ormai non si dice più sommele lette (me lo sono letto), sottele ditte (te l’ho detto), ecc., quando le particelle pronominali seguivano gli ausiliari. Da notare che nel lancianese il si è sempre sostituito dalla forma atona se.

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Avverbi

Di luogo: a ecche (qui)-a esse (là, vicino a chi ascolta)-ecchele (eccolo)-ecché (ecco qua)-a elle (là)-alloche (in quel luogo, pr. a’ lloch’)-sopre (sopra)-sotte (sotto)-da cape (daccapo, che sta sopra, mentre daccape ha altri significati come per scrivere un altro paragrafo)-da pide (sta per alla fine e pide-i piedi)-capabballe e capasotte (in giù)-‘ncolle (addosso)-addò (dove)-dentre (dentro)-addafore o semplicemente fore (fuori)-a elle abballe (laggiù)-‘nnanze (avanti)-arrete (dietro)-a elle arrete (là dietro)-a ecc’ammonte (qua sopra)-ugneaddò (ovunque, pr. ugn’addò)-vecine (vicino)-luntane (lontano), ecc. Di tempo: jere (ieri)-ogge (oggi, ogge a otte-fra una settimana, e ogge certe volte suona oje)-dumane (domani)-(ora, adesso)-stamatine (stamattina, ed è ormai raramente usato nelle contrade maddemene)-massere (stasera)-jennotte (stanotte)-gli “italiani” preste, tarde e subite-dope, dapò e appresse (poi, dopo)-prime (prima)-sempre (sempre)-maje (mai)-ormaje (ormai)-cirte vote (talvolta)-quanne (quanto), quande (quando)-ugnetante (ogni tanto, pronunciato con due t)-ugne quande (quando si vuole, pronunciato con due q)-mentre (mentre, ed è ormai desueto traminte che si diceva con due m)-frattante (frattanto)-frattempe (nel frattempo)-uanne (quest’anno)-dentr’ a ogge (in giornata), ecc. Di quantità: nu sacche (molto)-grosse, grusse (grande, grandi)-poche, puche (poco, poca, pochi, poche)-naprese, napresa, naprise, naprese, oppure na freche (troppo-i-a-e)-nu ccone (un pò)-manche une (nemmeno uno)-assaje (assai)-n’anzì che è un accorciativo di na nzicche (un pò)-nïente (niente)-quase (quasi)-chiù (più)-mene (meno), ecc. Di modo: ‘mbacce (circa, intorno a)-mejje (meglio)-bene (bene)-male (male)-pegge (peggio), ecc. Oggigiorno nella parlata lancianese si usa più che in passato il suffisso italiano mente pronunciato mènd’ e derivato dall’ablativo latino mente, da cui abbiamo certamente, conseguentemente, ‘nconsapevolmente, calorosamente, ecc., ma il mente è sovente sostituito da due aggettivi ripetuti (comede comede-comodamente). Affermativi: sci o scine o gnorscì’ (sì)-sicure (certo), ecc. Di dubbio: forse (forse)-probabilmente, ecc. Di negazione: nen-nin-nen-ni-gnornò (no)-neppure (neppure)-manche (nemmeno)-none (un no secco ed ironico pronunciato --ne quasi si stesse cantando ed accentando ed allungando la o). Accuscì (così)-gna e gné (come)-pure (pure) si usano per le comparazioni e nei superlativi. Locuzioni avverbiali: chiane chiane (piano piano)-de corse (di corsa)­-mura mure (rasente il muro), ecc.

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Preposizioni

Semplici: De-a-da-‘n-nche-sopre-pe’-tra-fra. Davanti alle vocali a volte si apostrofano e altre no, come in p’inizià’-per iniziare e pe’ uteme-per ultimo. Articolate: De lu, de li, de la, de le-a lu, a li, a la, a le-da lu, da li, da la, da le-‘n lu, ‘n li, ‘n la, ‘n le- nche lu, nche li, nche la, nghe le-sopre a lu, sopre a li, sopre a la, sopre a le-pe’ lu, pe’ li, pe’ la, pe’ le-tra lu, tra li, tra la, tra le, fra lu, fra li, fra la, fra le.

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Congiunzioni

E, ma, pecché (perché), manche (nemmeno, neppure), pure (anche), ecc., e poi si hanno delle congiunzioni-esclamative come embé! o ebbé! (ebbene, cosa vuoi?), ecc.

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Esclamativi

Nella parlata lancianese le esclamazioni di particolari stati d’animo si scrivono quasi come in italiano, ma si contraddistinguono per un sempre individualizzato modo di pronunciarle con l’apertura particolare delle vocali, col raddoppiamento delle consonanti iniziali e mediane, un’intonazione singolare della voce ed un’espressività unica che è alla base del quotidiano ed inesauribile arricchimento formale e contenutistico del nostro dialetto. Leggere per credere…

Quanta gente! Che cunfusione! (quanta gente! Che confusione!)-che ci’appure! (che c’entra!), MojaDie! (neanche a Dio, come forte disapprovazione)-Giuvà! (con un tono normale se si chiama un Giovanni vicino a chi parla)- Giuvà!…Giuvà! (chiamando un Giovanni ad una certa distanza lo si appella una prima volta a voce alta e subito a ridosso si rafforza la stessa voce accentuandone le vocali)-Quanta sì belle! e Che bella femmene! (per complimenti e stupore)-Ah!, Oh!, Uh! (esprime meraviglia)-Hajje! e Ojje! (Ah!, Oh!, esprimono dolore)-Ué! (saluto amichevole)-Dai!, Eh Vai! (incitamento)- Puà! (disprezzo)-Uffà! (insofferenza)-Mah! (incertezza)!-Uhm! (incertezza)-Evvive! (esaltazione)-Ehjie! (Ehi!, come saluto e per richiamare l’attenzione)-Avaste! (basta!, zitto!)-smamme! (vai via!), ecc. E poi esistono delle curiose e significative espressioni che connotano nella loro brevità, e in senso quasi ironico, come se si stesse recitando un copione teatrale, tutta la suggestività comunicativa della parlata lancianese: Mene! (che dici?, suvvia!, pronunciato con le 2 e mute e allungando la n)- Mosche! (letteralmente mosca, stai zitto!)-Santa Lucie! (Non ci vedi?)-dajje e dajje la cipolle devente ajje! (la pazienza ha un limite!)-oppure il più recente Che serie A! (apprezzamento verso qualcuno o qualcosa)-Scianbendette! (che Dio ti benedica!)-Dielabenediche! (Dio lo benedica! che vale pure per crisce sante!-cresci bene!, detto, per esempio, dopo uno starnuto)- l’onomatopeico Zacchete! (significante un taglio netto), che vù fa’ da grosse? (che vuoi fare da grande?, detto ironicamente verso chi tentenna, banalmente, nel far qualcosa), ecc. Ma l’espressione più usata è che cazze vù?, che cosa vuoi?, col riferimento all’organo sessuale maschile.

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Verbi

 

Negli infiniti dei verbi della parlata lancianese avviene il troncamento delle desinenze finali re rispetto ai verbi della lingua italiana. Così si hanno gli ausiliari èsse’ (essere) ed avé’ (avere) ed i fondamentali e quasi semi-ausiliari sta’ (stare) e tené’ (tenere); poi ci sono tre coniugazioni e si hanno come esempi amà’ (amare) per la 1a coniugazione, crede’ (credere) per la 2a e sentì’ (sentire, ascoltare) per la 3a. Quando gli infiniti sono seguiti dalle particelle pronominali non sono apostrofati alla fine: lagnarse (lagnarsi), ‘nventarse (inventarsi), ‘ncalvanirse (incattivirsi), ecc.

Participi: state (stato-a, al plurale stete) per èsse’, avute (avuto-i-a-e, che suona molte volte come ‘vute) per avé’, state (stato-a, al plurale stete) per sta’ e tenute (tenuto-i-a-e) per tené’. 1a coniugazione con ate (singolare), amate (amato-a, e al plurale amete-amati-e); 2a con ute, credute (creduto-i-a-e); 3a ite, sentite e meno usato sentute (sentito-i-a-e).

I gerundi prendono la desinenza enne pronunciata ènn’ (ecco un’altra assimilazione dall’italiano nd di ando ed endo in nn dell’osco-umbro): essenne (essendo), essenne state (essendo stato); avenne (avendo), avenne avute (avendo avuto); stenne (stando), essenne state (essendo stato); tenenne (tenendo), avenne tenute, ed è raro essenne tenute che ha un senso passivo; per la 1a coniugazione amenne (amando) e avenne amate o essenne amate che ha un senso passivo; per la 2a credenne (credendo), avenne credute o essenne credute con un valore passivo; per la 3a sentenne (sentendo, ascoltando), avenne sentite o di rado essenne sentite che ha un senso passivo.

Altri infiniti, gerundi e participi: 1a coniugazione: magnà’ (mangiare), magnenne (mangiando), magnate (mangiato-a), magnete (mangiati-e) – parlà’ (parlare), parlenne (parlando), parlate (parlato-a), parlete (parlati-e) - cantà’ (cantare), cantenne (cantando), cantate (cantato-a) cantete (cantati-e), ecc. ----- 2a coniugazione: crede’ (credere), credenne (credendo), credute (creduto-i-a-e) - vedé’ (vedere), vedenne (vedendo), vedute o viste (visto-i-a-e) – vulé’ (volere), vulenne (volendo), vulute (voluto-i-a-e) – venne’ (vendere), vennenne (vendendo), vennute (venduto-i-a-e). Alcuni verbi sono irregolari nei participi, come legge’ (leggere), leggenne (leggendo), lette (letto-i-a-e, ed è rarissimo leggiute) - scrive’ (scrivere), scrivenne (scrivendo), scritte (scritto-i-a-e) - vince’ (vincere), vincenne (vincendo), vinte e l’obsoleto vinciute (vinto-i-a-e), ecc. ----- 3a coniugazione: partì’ (partire), partenne (partendo), partite (partito-i-a-e) – durmì’ (dormire), durmenne (dormendo), addurmite (irregolare, dormito-i-a-e), ecc.

LE TERZE PERSONE DEI VERBI, SECONDO LE GRAMMATICHE TRADIZIONALI DEL DIALETTO LANCIANESE, SONO UGUALI, MA ABBIAMO ÉSSE MAGNE-EGLI MANGIA E PURE HISSE MAGNENE O ANNOME MAGNE-ESSI MANGIANO CHE POI SI DICE HISSE STANNE A MAGNÀ’.

Verbo essere (èsse’). Anche nell’idioma lancianese è fondamentale nelle frasi passive. Indicativo: presente: Jì so’, tu si, ésse è, nu séme, vu séte, hisse so’ (o annome è). Passato prossimo: Jì so’ state (più raro haje state), tu si state, ésse è state, nu séme state o stete, vu séte state o stete, hisse so’ state o stete (ma è più corretto ed usato annome state). Imperfetto: ère, ire, ère, savame, savate, èrene. Trapassato prossimo: come l’imperfetto più il participio passato state (plurale stete) oppure con avute. Passato remoto: come il passato prossimo, ed il senso di un’azione finita del passato è reso con delle espressioni temporali tipo l’atre anne (l’anno scorso) e na settemane fa (la settimana scorsa) che naturalmente indicano un’azione remota, mentre n’ora fa (un’ora fa) indica logicamente un passato prossimo. Trapassato remoto: come il passato remoto più il participio passato state (plurale stete), ma è raramente usato e si ricorre ad altri tempi e ad altre espressioni temporali. Futuro semplice: si forma col presente mutato da un avverbio di tempo e con l’aiuto di sta’ (stare): dumane stenghe a Rome (domani sarò a Roma), dumane sti a Rome (domani sarai a Roma), oppure usando solo le 3e persone singolari e plurali sarrà, sarranne (sarà, saranno, che si dicono con una sola r). Futuro anteriore: aggiungendo al futuro semplice state (pl. stete) come in dumane hisse ponne dice c’annome state o stete a Rome (domani diranno che sono stati a Roma, ed è da notare ponne dice-possono dire che qui significa potranno dire), o dumane hisse ponne dice che sarranne state o stete a Rome (domani potranno dire che saranno stati a Roma). Congiuntivo (molto raro): presente: ca jì so’, ca tu si, ca ésse è, ca nu séme, ca vu séte, ca hisse so’ (o ca hisse annom’è); il cong. passato si ha aggiungendo state (pl. stete) al cong. presente; cong. imperfetto: ca jì fusse, ca tu fusse, ca ésse fusse, ca nu fusséme, ca vu fuste, ca hisse fussère; il cong. trapassato deriva dall’imperfetto più state (pl. stete). Condizionale: presente: jì fusse, tu fusse, più le altre persone del congiuntivo imperfetto, ma talvolta si usano pure le sole terze persone sarrebbe e sarrebbere (sarebbe, sarebbero). Cond. passato: come il condizionale presente con l’aggiunta di state (pl. stete); esempi: jì fusse cuntente se tu stisse a ecche (sarei contento se tu fossi qui) e al passato jì fusse state cuntente se tu fusse state a ecche (sarei contento se tu fossi stato qui). Imperativo: si, séme, séte, ma talvolta si ricorre al verbo fa’ (fare), come in fa lu brave (buono!), facéme li brave! (stiamo buoni!), facéte li brave (state buoni!), ecc.

Verbo avere (avé’). Indicativo: presente: Jì haje, tu hì, ésse a, nu avéme, vu avéte, hisse hanne (ma tutto il presente indicativo di avé’ è meglio espresso dal presente indicativo di tené’-tenere, Jì tenghe, tu ti, ésse té, nu tenéme, vu tenéte, hisse tenne (o annome té). Passato prossimo: Jì so’ avute, tu si avute, ésse a avute, nu avéme o séme avute, vu avéte o séte avute, hisse hanne avute (e qui il corrispondente annom’a avute non ha nessun senso e non si usa). Imperfetto: avé (con l’italianizzazione avéve), avive, avé o avéve, avavame, avavate, avevene. Trapassato prossimo: come l’imperfetto più il participio passato avute. Passato remoto: rari sono avette, aviste, avette, avemme, aveste, avettère, e quasi sempre si usa il passato prossimo definito da delle altre espressioni temporali. Trapassato remoto: come il passato remoto più il participio passato avute, ma non è quasi mai usato e si ricorre ad altri tempi e ad altre espressioni temporali. Futuro semplice col presente trasformato da un avverbio di tempo e con l’aiuto di tené’ (tenere): stat’atru mese tenghe chelu libre (tra un mese avrò quel libro), stat’atru mese ti chelu libre (tra un mese avrai quel libro), oppure usando solo le 3e persone avrà e avranne (scritte con una sola r), ma si usano di più quelle di tené, vale a dire tenarrà, tenarranne (terrà e terranno). Futuro anteriore: futuro semplice con gli ausiliari avrà, avranne, oppure tenarrà, tenarranne più avute oppure state, quindi tra nu mese hisse avranne avute lu libre (tra un mese avranno avuto il libro). Congiuntivo (molto raro): presente: ca jì tenghe, ca tu ti, e le altre persone dell’indicativo presente di tené’. Il cong. passato si ha aggiungendo avute al cong. presente; cong. imperfetto: ca jì avesse, ca tu avisse, ca ésse avesse, ca nu avesseme, ca vu aveste, ca hisse avessere; il cong. trapassato deriva dal cong. imperfetto più avute. Condizionale: presente: jì avesse, tu avisse, e le altre persone del congiuntivo imperfetto, ma talvolta si usano pure le sole terze persone avrebbe e avrebbere (avrebbe, avrebbero, scritte con una sola r). Cond. passato: come il condizionale presente più avute. Imperativo: si usa tené, e quindi ti, tenéme, tenéte, come in ti su libre! (tieni quel libro!), tenéme stu libre! (teniamo questo libro!), tenéte stu libre! (tenete questo libro!), ecc.

Data la libertà creatrice del dialetto lancianese èsse’ ed avé’ si scambiano i ruoli nella formazione dei tempi composti: So’ avute (ho avuto), si avute (hai avuto), haje state o il più corretto so’ state (sono stato), si state (sei stato), a state (è stato), avé state o ère state (ero stato), savame state (eravamo stati), me so’ scurdate o m’haje scurdate (mi son dimenticato), ecc.

Verbo tenere (tené’). Indicativo: presente: Jì tenghe, tu ti, ésse té, nu tenéme, vu tenéte, hisse tenne (o annome té). Passato prossimo: Jì so’ tenute, tu si tenute, ésse a tenute, nu avéme o séme tenute (con le voci del verbo èsse’ si ha un senso passivo), vu avéte o séte tenute, hisse hanne (o annome) tenute. Imperfetto: tené (con l’italianizzazione tenéve), tenive, tené o tenéve, tenavame, tenavate, tenevene. Trapassato prossimo: con èsse’ ed avé’ più il participio passato tenute. Passato remoto: rari sono tenette, teniste, tenette, tenemme, teneste, tenettère, ma quasi sempre si usa il passato prossimo definito da delle altre espressioni temporali. Trapassato remoto: con èsse’ ed avé’ più il participio passato tenute, ma non è quasi mai usato e si ricorre ad altri tempi e ad altre espressioni temporali. Futuro semplice col presente modificato da un avverbio di tempo, dumane tenghe stu libre (domani avrò questo libro) oppure usando solo le 3e persone tenarrà, tenarranne (terrà, terranno). Futuro anteriore: futuro semplice di avé’ più tenute che talvolta è sostituito da avute, da cui dumane avranne avute chelu libre (domani avranno avuto quel libro). Congiuntivo (molto raro): presente: ca jì tenghe, ca tu ti, ca ésse té, ca nu tenéme, ca vu tenéte, ca hisse tenne (o annome té); il cong. passato si ha dall’indicativo presente di èsse’ più tenute; cong. imperfetto: ca jì tenesse, ca tu tenisse, ca ésse tenesse, ca nu tenesseme, ca vu tenassete, ca hisse tenessene; il cong. trapassato deriva dal cong. imperfetto di avé’ più tenute, ca jì avesse tenute, ca tu avisse tenute, ecc. Condizionale: presente: jì tenesse, tu tenisse, e le altre voci verbali del congiuntivo imperfetto, ma talvolta si usano pure le sole 3e persone terrebbe e terrebbere (terrebbe, terrebbero). Cond. passato: col congiuntivo imperfetto di avé’ più tenute, quindi jì avesse tenute, tu avisse tenute, ecc. Imperativo: ti, tenéme, tenéte.

Il verbo stare (sta’) ha molte analogie col verbo essere. Indicativo: presente: Jì stenghe, tu sti, ésse sta, nu stéme, vu stéte, hisse stanne (o annome sta). Passato prossimo: Jì so’ state, tu si state, ésse è o a state, nu avéme o séme stete, vu avéte o séte stéte, hisse so’ state o stete (o annome state). Imperfetto: sté (con l’italianizzazione stave o steve), stive, sté (o stave o steve), stavame, stavate, stevene. Trapassato prossimo: con èsse’ o raramente avé’ più il participio passato state (pl. stete). Passato remoto: col passato prossimo definito da delle altre espressioni temporali e sono ormai rarissimi stette, stitte, stette, stemme, steste, stettère. Trapassato remoto: con esse’ ed avé’ più il participio passato state (pl. stete), ma non è quasi mai usato e si ricorre ad altri tempi e ad altre espressioni temporali. Futuro semplice ed anteriore: vedi il verbo essere, o esistono solo le terze persone singolare e plurale, starrà e starranne, che nella formazione del futuro anteriore sono seguite da state (pl. stete). Congiuntivo (molto raro): presente: ca jì stenghe, ca tu sti, e le altre voci dell’indic. pres. Cong. passato: come il cong. passato di èsse’. Cong. imperfetto: ca jì stesse, ca tu stisse, ca ésse stesse, ca nu stessime, ca vu stassete, ca hisse stessère; il cong. trapassato è identico al cong. trapassato di èsse’. Condizionale: presente: jì stesse, tu stisse, ésse stesse, nu stessime, vu steste, hisse stessère, ma talvolta si usano pure le sole terze persone starrebbe e starrebbere (starebbe, starebbero). Cond. passato: col congiuntivo imperfetto di èsse’ più state e al plurale stete, da cui se jì fusse state, se tu fusse state, ecc. Imperativo: sti, stemé, stéte.

Costruzioni idiomatiche con tené’ e sta’: me té fame (ho fame), tenghe o stenghe a sentì’ lu fredde (sento freddo), stenghe o tenghe a legge’ (leggo), ésse té a vedé’ la televisione (guarda la TV, pronunciato tté a vv’dé), ce ne sta nu sacche (ce ne sono molti), nen ce sta (non c’è), ecc.

1a coniugazione: amà’, magnà’, parlà’, cantà’ (amare, mangiare, parlare, cantare). Indicativo: presente: Jì ame-magne-parle-cante; tu eme, megne, perle, chente; ésse ame, magne, parle, cante; nu améme, magnéme, parléme, cantéme; vu améte, magnéte, parléte, cantéte; hisse amene, magnene, parlane, cantene (tutte le 3e persone plurali dei verbi hanno la stessa desinenza della 3a persona singolare se seguono annome ed in questo caso abbiamo annome ame, magne, parle, cante). Passato prossimo: presente di èsse’ e/o avé’ più i participi passati amate, magnate, parlate, cantate o i relativi plurali amete, magnete o in talune pronunce magnite, parlete, cantete. Imperfetto: jì amé o amave, magné o magnave, parlé o parlave, canté o cantave; tu amive, magnive, parlive, cantive; ésse più le voci verbali delle prime persone del singolare; nu amavame, magnavame, parlavame, cantavame; vu amavate, magnavate, parlavate, cantavate; hisse amevene, magnevene, parlevene, cantevene. Trapassato prossimo: come l’imperfetto di avé’ più i participi passati di questi verbi della 1a coniugazione. Passato remoto: come gli altri tempi passati ed è definito da delle altre espressioni temporali (sono rarissimi J’ amaje, magnaje, parlaje, cantaje, ecc., che stanno per amai-mangiai-parlai-cantai). Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

2a coniugazione: crede’, vedé’, vulé’, venne’ (credere, vedere, volere, vendere). Indicativo: presente: Jì crede-vede-vojje-venne; tu cride, vide, vù, vinne; ésse crede, vede, vò, venne; nu crédeme, védeme, vuléme, vennéme; vu crédete, védete, vuléte, vennéte; hisse credene, vedene, vonne, vennene (o annome crede, vede, , venne). Passato prossimo: presente di èsse’ e/o avé’ più i participi passati di questi verbi. Imperfetto: jì credé o credeve, vedé o vedeve, vulé o vuleve, venné o venneve; tu credive, vedive, vulive, vennive; ésse credé o credeve, e come le altre prime persone del singolare; nu credavame, vedavame, vulevame, vennavame; vu credavate, vedavate, vulavate, vennavate; hisse credevene (si usa dire s’a credevene-essi credevano), vedevene, vulevene, vennevene. Trapassato prossimo: jì avé credute, tu avive credute, ecc. Passato remoto: come gli altri tempi passati è definito da delle altre espressioni temporali. Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

3a coniugazione: sentì’, partì’, durmì’ (sentire, partire, dormire). Indicativo: presente: Jì sente, parte, dorme; tu sinte, perte, durme; ésse sente, parte, dorme (qui c’è una o al posto della u); nu sentéme, partéme, durméme; vu sentéte, partéte, durméte; hisse sentene, partene, dormene (o annome sente-parte-dorme). Passato prossimo: presente di èsse’ e/o avé’ più i participi passati di questi verbi della 3a coniug. Imperfetto: jì senté o senteve, parté o parteve, durmé o durmeve; tu sentive, partive, durmive; èsse e le voci verbali della prima persona singolare; nu sentavame, partavame, durmavame; vu sentavate, partavate, durmavate; hisse sentevene, partevene, durmevene. Trapassato prossimo: imperfetto di èsse e/o avé’ più i part. passati dei verbi in questione. Passato remoto: è definito da delle altre espressioni temporali. Trapassato remoto: pass. remoto più i part. passati dei verbi in questione. Futuro: si usa il presente dell’indicativo futurizzato da delle altre espressioni temporali, oppure si usano solo le terze persone come sentarrà, sentarranne (sentirà-sentiranno), partarrà, partarranne (partirà-partiranno), durmarrà, durmarranne (dormirà-dormiranno). Futuro ant.: idem come per il futuro semplice e con l’aggiunta dei part. passati degli ausiliari èsse’ ed avé’. Congiuntivo: presente: ca jì sente, parte, dorme; ca tu sinte, e le altre voci verbali dell’indic. pres. Cong. passato: congiuntivo presente di èsse’ più i part. passati dei verbi in questione, quindi ca jì so’ sentite, partite, durmite, ecc. Cong. imperfetto: ca jì sentesse, partesse, durmesse; ca tu sentisse, partisse, durmisse; ca ésse sentesse, partesse, durmesse; ca nu sentasseme, partasseme, durmasseme; ca vu sentassete, partassete, durmassete; ca hisse sentessère, partessère, durmessère. Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

Ma il lancianese sfugge sovente alle costrizioni grammaticali, con una lingua parlata molto idiomatica e trainata dalla sintassi che è la vera forza motrice della lingua lancianese. Il presente e l’imperfetto dell’indicativo vengono formati coi verbi tené’ e sta’, mentre i verbi indicanti l’azione rimangono all’infinito: in effetti, il presente non è jì legge (io leggo) ma jì stenghe a legge’, non è nu cantéme (noi cantiamo) ma stéme a cantà’, e l’imperfetto non è nu leggevame ma stavame a legge’, e non nu cantavame ma stavame a cantà’. Si notino pure che sti a legge'? (che leggi?, pronunciato cch’ stì a legg’?), che te fa’? (che fai? pr. cch’ tt’ fà?), mò tenghe a studià’ (sto studiando), che tenive a fa’? (che facevi?), mentre stavame areturnà’ (mentre tornavamo), ecc. Anche i tempi passati e futuri usano ésse’, avé’, tené’ e sta’ nella flessioni idiomatiche della parlatura lancianese che sfuggono a qualsiasi schema grammaticale predefinito di una lingua dialettale in continua evoluzione. Il congiuntivo è talvolta più diretto con delle espressioni esclamative (ci’avesse jite!-ci fossi andato!, vulesse lu ciele!-voglia il cielo, puzza campà’ cent’enne!-che tu possa vivere a lungo, s’avisse studiate nen stisse a ecche-se avessi studiato non saresti qua, o al congiuntivo passato fusse state nu mastre s’avisse studiate-saresti stato un “maestro”, nel tuo mestiere, se avessi studiato). Il condizionale ha pure delle forme arcaiche, ormai cadute in disuso, ricordate solo per dovere di scrittura, come ji’amarré-io amerei, jì magnarré-io mangerei, ecc. Nel parlare il gerundio si fa coi verbi tené e sta’ e col verbo in questione all’infinito, come in la neve tené a calà’ fina fine (la neve stava scendendo lentamente), ésse té a studià’ (sta studiando), ecc. Un comando o un’esortazione si forma con due verbi successivi all’infinito: ce s’a da’ jì’ (ci si deve andare), la da’ fa’ mò (lo devi fare adesso),ecc. Il verbo dovere ha una traduzione nel lancianese tutta particolare: addavé èsse’ (doveva essere), addavé ultrepassà’ (doveva oltrepassare), ajà fa’ (devo fare), t’a d’arefà' l’ucche (letteralmente “ti devi rifare gli occhi”, nel vedere una cosa molto bella), ecc. Alcune espressioni verbali possono essere apostrofate o non: a state arepurtate o a stat’arepurtate (è stato-a riportato-a), oppure a state restaurate o a stat’arestaurate (è stato-a restaurato-a).

Per i verbi impersonali i lancianesi usano avé’, tené’, sta’ e mai èsse’, e parlando della pioggia e della neve (piove’, nenche’– piovere, nevicare) diciamo: piove, té piove, té nenche o sta a nenche (piove, nevica); piuvé, nenché (pioveva, nevicava); a piovete (è piovuto di recente, mentre a piuvute indica un’azione totalmente trascorsa); a nenchute (ha nevicato) che può anche essere ha fatte la neve; dumane piove, dumane nenche (pioverà, nevicherà); ccó ppiove!, ccó nenche! (che piova!, che nevichi!); ca piuvesse!, ca nenchesse! (che piovesse, che nevicasse); se piuvesse, se nenchesse (se piovesse, se nevicasse); piuvenne, nenchenne (piovendo, nevicando). Per l’età usiamo tené’, come in té cinche enne (pronunciato cinch’anne).

I verbi italiani inizianti con la desinenza ri la cambiano in are nel dialetto lancianese: arecumenzà’ e anche arecumejà’ (ricominciare), arefiatà’ (prender fiato), arefonne’ (rimetterci), arefrescà’ (rinfrescare), aregnogne’ (aggiungere), aremané’ (rimanere), aremanenne (rimanendo), aremaste (rimasto-i-a-e), arenfaccià’ (rinfacciare), aremenenne (ritornando), aremenute (ritornato-i-a-e, m’aremenute ‘n mente-mi sono ricordato), arepijà’ (riprendere), arepijenne (riprendendo), arepijate (ripreso-i-a-e), arepruvece (riprovaci), aresvejjarse (risvegliarsi), areturnà’ (tornare), areturnenne (tornando), areturnate (tornato-i-a-e), arevulà’ (ricredersi qualcosa che non è vero e viene da vulà’-volare), ecc., ma ci sono delle eccezioni come ariaprì’ (aprire), arjì’ (tornare indietro), ecc.

Complementi

Di moto a luogo: vaje a Lanciane (vado a Lanciano, ma è preferibile tenghe a jì’ a L.); da luogo: Jì venche da Lanciane (vengo da L., o meglio ancora tenghe a menì’ da L.); stato in luogo: jì abete a Lanciane (abito a L.); per luogo: jéme a Lanciano passenne pe’ Castellenove (andiamo a Lanciano passando per Castelfrentano, o tenéme a jì’ a L. passenne pe’ C.); di specificazione: la chiese de Santa Juste (la chiesa di S. Giusta); di termine: so’ date lu libre a Nicole (ho dato il libro a Nicola); di compagnia: so’ scite nche lu cane (sono uscito col cane); di causa: n’a scite pecché sta male (non è uscito perché sta male); di mezzo: tenghe a scrive’ nche la penne (scrivo con la penna); di paragone: chullù è avete gné té (quello lì è alto come te).




INEDITI DI STORIA LANCIANESE 

Maurizio Angelucci - Se scrive Lanciane, se legge Langián(e) 

 

Excursus nel vocabolario del lancianese

(che è molto colorito, forse troppo, specie nelle ”maleparole-cattive parole”, ma a Lanciano si guarda e si parla sempre approfonditamente degli altri e mai di se stessi).

 

A

  (Si usa nei complementi di luogo ed altri (vedi sopra), e nelle proposizioni finali (pinse a studià’-pensa a studiare). - Abbadà (badare), abbajà’ (abbaiare, da cui una volta m’è venuta un’espressione estemporanea, ni j’abbaje nu cane-non gli “abbaia” neanche un cane, pensando a le donne senza corteggiatori), abbajjà’ (abbagliare), abballà (ballare), abbijete (affrettati), abbuffarse e abbummacarse (mangiare molto), abbuscà (prendere le botte e significa pure guadagnare), abbuttà (o abbuttarse-mangiare molto), abbuttunà (abbottonare), abbuzzà (ingoiare un rospo!), abruciate (bruciato, scottato dal sole, da brucià-bruciare, sempre pronunciati con due b), accarezzà (accarezzare), accattà (comprare), ‘cchiappà’ (acchiappare), ‘cchiappacane (accalappiacani, riferito a tempi poco civili perché “essere randagio non è un reato…”), acciaccà (schiacciare o masticare), accide (uccidere), acciuccà (abbassarsi che è meglio espresso con acciuccarse, mentre acciuccute-abbassati), accoje (accogliere), accuppà (picchiare), accuppià (accoppiarsi), accurtinì (accorciare), lache (lago), addavere (davvero), addummannà (domandare, cirche e ddummanne-cerca e chiedi, e in questo caso le due dd iniziali e le due mm mediane possono essere scritte per connotare l’espressività della parlata lancianese),  Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

B

   Bahattelle (ragazza frivola, la h suona come una g), bahuje (baule, la h e muta ed aiuta la pronuncia della u), bandiere (bandiera, e si diceva bannere), le bandïole (convulsioni), lu bannitore (banditore), befane (befana, e si dice pure a una persona di sesso femminile dallaspetto strano, me simbre na befane-pari una befana), benedice (benedire, ta darefà benedice-ti devi far benedire unaltra volta, e si dice alle persone particolarmente sfortunate), bettemà (lamentarsi), betteme (gemito), biastemà (bestemmiare, pronuncia bi-asst), lu bobbò (dal francese, un dolce), la-le bocce (damigiana-e e al plurale indica il gioco delle bocce o più volgarmente i seni di una donna, modernizzati ormai con airbag), brasciole (braciola), bregogne (la vergogna), la buatte (barattolo o bottiglia piccola e larga per conservare gli alimenti), buffettone (schiaffo, anche na freselle), bummace (ovatta), burdelle (inteso come bordello, casa delle prostitute, ma significa pure una situazione caotica), mentre busce (buco) e buscie (bugia) si pronunciano allugando la u e sibilando di molto le s che vengono stoppate dalle e atone finali, ecc.

  C

 

  Cacanude (detto di una persona che veste in modo quasi nudo, detto specie ai bambini), cacarelle (diarrea), cagnà’ (cambiare), cajole (gabbia degli uccelli), calecagne (calcagno), lu callare-pentola per scaldare i cibi, la callarelle è il contenitore usato dai muratori), lu calle (il caldo), nu callecchie (pezzo tratto da qualcosa per vederne il gusto, come quando si estrae un pezzetto di cocomero), camenà’ (camminare), la camorre (camorra, si dice la camorre è nate o a nate prime de Criste), campà’ (vivere), lu cane, li chene (cane-i), la cannele (candela), lu cannelle (il matterello, e indica pure una persona magra altrimenti detta secchindrille), capà’ (scegliere), capaddozie (chi è il principale protagonista nel far qualcosa), capestà’ (calpestare), lu capetone (l’anguilla), caracine (fico secco), cardille (cardellino), carevone (carbone), carijà’ (trasportare), carofene (garofano), carusà’ (tagliarsi i capelli quasi a zero), casamente (una grande e bella casa), cascà’ (cadere), casce (cassa), lu casciamurtare o cassamurtare (imprenditore di pompe funebri), cassarole (casseruola), nu catorce (cosa ormai inutile, giunta quasi alla fine, detto anche cerote), lu cavallone, li cavallune (onda-e del mare o detto di una bella donna), cavece (calce o un calcio detto anche zampate, chiaramente in senso animalesco da zampa), la cavute (buca dove scorre l’acqua piovana nelle strade), lu cazzarelle (peperoncino piccante), lu cazzotte, li cazzutte (pugno-i), cecà’ (accecare e pure avere molto sonno), cecale (cicala), cecate (un cieco o usato in senso figurato per stimolare una migliore osservazione di una cosa evidente, che si cecate!), cecenelle (salvadanaio in terracotta e adesso in genere), lu cele (il cielo), cementà’ (molestare, cementose è chi importuna), cence (straccio), lu centrine (cinghia per pantaloni, le donne usano la cinte), ceppe (pezzetto di un ramo, ma aremmettese lu ceppe è mettersi un vestito nuovo per la festa), cerace (ciliegia), la cerchie (quercia), cerrefone (grosso serpente e indica chi è trasandato nell’aspetto e nel vestire), cerve (acerbo), lu cervelle (il cervello, ma si dice pure le cervelle), cesse (gabinetto e persona brutta fisicamente), la cetelanze (la fanciullezza), lu cetrone, li cetrune (cocomero-i), lu chechelone-li chechelune (pietra-e grande-i), checocce (zucca e testa dura a capire), chetarre (strumento musicale e attrezzo per fare la pasta in casa), chiachille (persona di molte parole e pochi fatti), li chiochie (antiche calzature dei contadini, e oggi indicano le ciabatte da mare), ciabbotte (ciccione-a), ciaccià’ (la carne, si dice ai bimbi per invogliarli a mangiare, oppure il cibo in genere per i piccolissimi è la pappe o la pappà), ciacciacole (gazza ladra), ciacciotte (persona grassa o cosa larga, vezzeggiativo ciacciuttelle), ciammaïche (lumaca), ciamorre (ormai si dice lu raffreddore), ciampane (zanzara o moscerino in genere), ciancajone (balbuziente detto anche ciavaje), cianchette (mento), ciappette (fermaglio), la cicce (il grasso), fa’ ciccione (marinare la scuola), ciocchele (conchiglia), ciomme (piccola protuberanza in qualche parte del corpo umano), cioppe (zoppo), ciucculate (cioccolato-a), ciucche (come in a cape ciucche-con la testa abbassata), lu ciuccularelle, li ciuccularille (cianfrusaglia-e), ciucculattere (caffettiera), ciuffelà’ (fischiare, lu ciuffele è il fischio), ciuppecà’ (zoppicare, talvolta pronunciato ciupp’chià, chi va nche lu cioppe s’‘mpare a ciuppecà’-chi va con lo zoppo s’impara a zoppicare), la ciuvette (la civetta), coce’ (cuocere), cocce (testa, cuccianne-testata, cucciute-testardo, te ne se ‘scite de cocce-detto a chi se n’è “uscito di mente”), cocchie (crosta), core (cuore), lu cozzeche (sporco che si forma sulla pelle non lavata), Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

 

D

 

 Dà’ (dare), da cante (da vicino), lu dade (il dado, jucà’ nchi li dade o per certi dede-giocare coi dadi), dammaje (danno), damò (da ora), dannà’ (dannare), dapò (dopo), da prime (dapprima), debete, debite (debito-i), debule (debole), lu-li deputate (la p diviene nella pronuncia due b, deputato-i, che a Lanciano indica i membri delle commissioni per le feste cettadine), defenne’ (difendere), dejunà’ (digiunare), depanà’ (sbrogliare), lu-li dete (dito, è al diminutivo la detelle, le detille, e l’accrescitivo è lu detone, riferito al dito grosso del piede, al plurale li detune), lu dïavele (diavolo), dintorne, dinturne (dintorno-i), la dodde (la dote, pr. dódd’), la dubotte (strumento caratteristico del folklore abruzzese, una specie di organetto, pronunciato con due dd iniziali), a la dummerse (all’inverso, pronunciato ddummérz), durmì’ (dormire), ecc.

 E

 

  Ecchele! (eccolo qua), elece (leccio, ma la e mediana è scomparsa nel tempo nelle pronuncia che ricorda la contrada Villa Elce di Lanciane), epuche (epoca), lu eroe, li erüe (eroe-i, pronunciato è-ró-‘ ed è-rú-‘), estere (estero), ecc.

 

  F

 

  Fabbrecate (edificio), facce (faccia), facciafronte (si chiede a qualcuno di fare un faccia a faccia per confermare una maldicenza), lu falche (falco, da alcuni detto faleche con la prima e accentata), fanghe (fango), fasciatore (pannolino), fascine (fascio da bruciare e indica pure un “breve” atto sessuale), fasciulitte (fagiolini), fatejà’ (lavorare, fateje-lavoro, nu fatejatore-un gran lavoratore), fattucchiare (maga), faucïe (falce), fazzole (tela di lino o seta che le donne indossano sul capo e sul collo), fazzulette (fazzoletto), la fecatazze, le fecatezze (salsiccia-e di fegato di maiale), feccà’ (infilare, feccate-infilato), la fecce (gente di malaffare detta anche ghenghe dallo slang italo-americano gang), la fechure (fico), fecozze (colpetto dato sulla nuca), la federe (copricuscino in lino), felle (fetta di pane o di frutta, dolci, ecc.), feligne (fuliggine), na feleppine (vento molto freddo), ferà’ (soffiare del vento-fere lu vente), fercine (forchetta, na freccecanne-de minestre-un pò di minestra), ferrare (fabbro), fessarïe (fesseria), la fiacche (la stanchezza), lu foche, li fuche (fuoco-fuochi, fucaracchie-falò), lu foje (il foglio, la foje-la foglia), foneche (magazzino), forche (forca), fraceche (fradicio), fraffe (muco nasale, fraffose-moccioso), frahule (fragola), lu frastïere, li frastïre (forestiero-i anche nel senso più ristretto di estraneo, pronuncia fras-tièr’, fra-stii-‘r’), fratte (siepe-jì’ pe’ fratte, si dice per una coppietta che si apparta), Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

 

 

 G

  Ghianne (ghianda), giallume (itterizia), giargianese (un linguaggio incomprensibile), giobbe, a giobbe, giubbine (di una cosa detta scherzosamente per finta), gnaulà’ (miagolare, gnaulenne-miagolando), gnelle (agnello), gnelirse (gelarsi, gnelite-gelato), gnezione (iniezione), lu gnocchele, li gnucchele (gnocco-gnocchi), ‘rampalupine (un’erba), grandigne (granturco), granelà’ (grandinare, granelate-grandinata), grasce (abbondanza del mangiare o di condizione economica), grascià’ (quando la neve si attacca per terra), gudé’ (godere), ecc.

 

H

   Habbà’ (ingannare), halità’ (respirare con affanno), le hanghe (il mento), hangone (dente molare), harbate (garbato), harbine (scirocco), ecc., mentre vengono sostituiti nella pronuncia con la g le h aspirate di ahancià’ (agganciare, pr. a-ggán-cià), ahoste (agosto, pr. á á-gost’), halle (gallo, pr. gáll’), hallenelle (gallinella), halline (galline), harantì’ (garantire), hobbe (gobbo), honfie (gonfio), huajemurte (in senso benevolo ad indicare chi combina guai), huverne (governo), ecc.

 

I

  ‘Mmece (invece), ‘mpannà’ (appannare), ‘mpantanà’ (impantanarsi), ‘mpapucchià’ (raggirare con vane parole-la papocchie è una frottola), ‘mpazzì’ (impazzire), ‘mpese (appeso), nu ‘mpicce (un fastidio, t’’mpicce-ti dà fastidio, ma ‘mpicciate è una persona indaffarata), ‘mpresse (m’aremaste ‘mpresse-mi è rimasto ben chiaro in mente, e in modo caratteristico), ‘mpujà' o ‘mpujarse (fermarsi), ‘mpuzzinì’ (diventare puzzolente), ‘ncarnì’ (incarnire,nognancarnite-un’unghia incarnita), ‘ncazzà’ (espressione molto volgare per arrabbiare che è arrajà’, ‘ncazzarse-arrabbiarsi, ‘ncazzuse-facile ad arrabbiarsi, ‘nciufarse significa invece come se uno stesse perdendo il ciuffo" in uno scatto d’ira), ‘ncenne (tencenne-t’infastidisce), ‘ncetirse (inacidirsi), ncullà’ (incollare pr. ‘ngúllà, ma ‘ncullarse nu huaje- si dice schersozamente a chi sta per sposarsi, nel senso di prendersi un “guaio”), ‘nguacchie (macchia e indica pure un danno), ngujà (ingoiare), ‘nhuajarse (cacciarsi in un guaio, ma ‘nhuajate è un’espressione indicante chi resta incinta senza essere sposata), ‘nsegnà (insegnare, pronuncia nzgnà), ‘nsunnacchite (assonnato), nterrà (riempire di terra e seppellire), Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

 

J

   lu-li jacce (ghiaccio-ghiacci), jaccià’ (ghiacciare, jacciarse-ghiacciarsi, jacciate-ghiacciato), jelate (gelatura, mentre lu gelate-il gelato è un chiaro italianismo), lu jenocchie, li jinucchie (ginocchio-i, ‘n jenucchiune-in ginocchio), jesse (gesso), jetevene! (andate via!), jettà’ (gettare qualcosa, ed anche tuffarsi in mare oppure si indica una situazione di sconforto con l’ironico mò me vaje a jettà’-adesso mi vado a “buttare”), jettele (gettalo, jettate-buttato), jì’ (andare, jamà!-andiamo!, con una a molto allungata, jame o jeme-andiamo!), jì’ ‘nnanze (precedere), jommere (gomitolo), jotte (goloso, anche ‘ngorde-ingordo), jucà’ (giocare), jurnate (giornata), juste (giusto-i-a-e), juvà’ (giovare), ecc.

Maurizio Angelucci - Se scrive Lanciane, se legge Langián(e) 

L

  Lacce (sedano e stringa per le scarpe, le quali ultime si dicono pure, col vezzeggiativo-diminutivo, lu laccette, li laccitte), lagne (lagna), la lape (l’ape, lu lapone è il fuco), lassà’ (lasciare), lu lebbre (la lepre, di genere femminile in italiano e maschile al lancianese), leccà’ (leccare), leccacule (cioè nu lecchine di qualche politico o di persone facoltose), lecchenizie (leccornia, anche ‘ngurdenizie, mentre lecchelone è un golosone), lecene (susina), leggere (leggero), lehà’ (legare), la lene (legna), la lenghe (organo della lingua, mentre la lingue è un linguaggio), lu lenzole, li lenzule (lenzuolo-i), lequerizie (liquirizia), letame (letame e usato per offendere qualcuno), letecà’ (litigare), levà’ (togliere che è pure tojje’), lisce (liscio e detto quando non si ha neanche una lira, e si usa pure dire liscianze oppure la truscie e la truscianze), ‘locabballe (laggiù), lu lope, li lupe (lupo-i, si dice magne gné nu lope-mangia troppo, e lu lupe penare, non come ci si aspetterebbe col singolare lope, indica il lupo mannaro), la-le lucenecappelle (lucciola), lucerte (lucertola), lune (luna e significa qualcuno arrabbiato, che ha una luna storta-té na lune storte), ecc.

 

 M

  Li maccarune (maccheroni), lu macellare, li macellere (macellaio-i), machenà’ (intrallazzare), maciullà’ (fare a pezzi), magneddurme! (chi mangia e dorme soltanto, cioè uno sfaticato, oppure un tipo poco svelto), malafemmene, malamente (cattivo), ‘mmasciate (commissione di lavoro, viene da ambasciata), malencunïe (malinconia), le maleparole (linguaggio scurrile, pr. má-l’parol’), maletempe (maltempo, pr. má-l’t’mp’), mammalucche! (stupido!, babbeo!), mammarole (chi è attaccato morbosamente alla mamma), mammine (ostetrica), mananne e manate (violento colpo di mano), mancamente (svenimento e mancanza in qualcosa), mane (mano, nche na mane e bi-con una mano sola, bi sta per basta), manïa’ (maneggiare, e séte na manïate-siete una masnada nel senso di “furfanti”, detto anche con ironia), manije (maniglia), mannà’ (mandare), lu mantile (tovaglia da tavola), la mantusine (grembiule da cucina), mappine (un piccolo tovagliolo ed indica pure un piccolo schiaffo, ma detto in tono scherzoso-mò te tire na mappine-ora ti dò uno schiaffo), la marce (marcia militare e indica soprattutto il pus), lu marchese (titolo nobiliare e ciclo mensile delle donne), mareje (amaro), le marrocche (le panocchie), masanielle (bambino furbo e vivace), li mascalubre (le cicatrici sulla parte superiore della spalla sinistra che testimoniavano un precedente vaccino antivaiolo), mascule (maschio), massere (stasera), matacone (persona furbissima, detto anche fingarde), lu matone, li matune (mattone-i, ma li matune sta per delle carezze spinte sul corpo di una donna), mattetà (pazzia benevola), lu mazzadete (scorpione), lu mazzemarelle, li mazzemarille (folletto-i immaginario-i), melacotogne (un tipo di mela), melagranate (melograno), la melangule (cetriolo), le melelle (piccole mele, spaccamelelle è uno spaccone), le menele (mandorle), menì’ (venire-menesse-venisse), merche (da merchià’-marcare come si fa per le bestie, mò te facce nu merche-adesso ti faccio un marchio sulla faccia, evidentemente con uno schiaffo), Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

 

N

   Nazzecà (cullare), na nechelle (piccola cosa ed indicava una moneta spicciola di 20 centesimi), nehe (neo), la nelle (lanello), neutre (da me inventato e indica chi non ha nessun tipo di preferenza sessuale), ngustïà (angustiare), na nocche (un fiocco), la-le nore (nuora-e), ntruncà (sbattere contro qualcosa), na nzì che è un taglio di na nzicche (un pezzetto), nzummà (alimentare amichevolmente uno sfottò con delle parole incisive), ecc.

 

 O

   ogne (unghia), ogne (ungere, onte è unto), l’oje (l’olio), ommene, ummene (uomo, uomini), orghene (l‘organo, strumento musicale), orse (orso),  l’orte (l’orto), osse (osso), ove (uovo), ecc.

Maurizio Angelucci - Se scrive Lanciane, se legge Langián(e) 

P

   Pacïenze (pazienza), lu padejjone, li padejjune (padiglione-i), pahà’ (pagare), lu pahese, li pahise (paese-i, pahesane-concittadino), pahure (paura), pajjare (pagliaio, ma significa pure una conversazione tra amici), paje (paglia, mentre nu paje o nu pare=un paio), palelle (attrezzo per rimuovere la cenere dal focolare), palelonghe (letteralmente lungo palo, ma connota pure un uomo altissimo), palïate (anche salïecate, cioè dare le botte con violenza, ma si spera non con una pala, da cui deriva il termine dialettale, mentre palïatone è una percossa ancora più violenta), lu pallone, li pallune (pallone-i, ma significa soprattutto una grossa bugia, e chi racconta frottole è nu pallunare, mentre na pallanne è una forte pallonata), la-le pallotte (polpetta-e), lu pancale (la pedana), lu panne, li penne (panno-i), la pantafeche, a richiesta dei miei lettori (nell’immaginario collettivo popolare si tratterebbe di una strega usa a soffocare le pance dei dormienti, evidentemente durante un’indigestione notturna, e gli antidoti consisterebbero nel lasciare davanti alle porte delle camere una scopa capovolta per distrarla, facendole contare i fili di essa, o un sacchetto di grano per impegnarla nella conta dei chicchi), la pantane (pantano), la panze (la pancia), la papagne (stato di sonnolenza dopo i pasti e schiaffo molto forte che è meglio specificato come na papagnele), la paparelle (anatra e indica pure un motorino, mentre l’oca è la papere o lu paparone), paparole (chi è attaccato morbosamente al padre), papavere (papavero, che in alcuni paesi frentani è curiosamente detto papampilone), na papocchie (una fandonia), lu papozze, li papuzze (personaggio immaginario a cui si ricorreva per far obbedire i bimbi), le pappardelle (chiacchiere noiose e alla rinfusa), na pappatorie (una mangiata, la politiche è tutte na pappatorie o nu magna magne-la politica serve solo per gli arricchimenti individuali e familiari), le papusce (le pantofole), lu parente, li parinte (parente-i, la parentele-parentela), paré’ (parere), lu parente, li parinte (parente-i), la parlature (il dialetto), pasce’ (pascolare), pasciute (ben nutrito), la Pasquette (il lunedì di Pasqua), patacche (grande macchia, specialmente se fatta col sughe-sugo), pazzïjà’ (giocare, nu pazzïjarelle è un balocco), pecchiate (indica una persona tonta e si usa dire che si pecchiate?), pecciarelle (o fulminante-fiammifero), la pechere, le pechure (pecora-e, e lu pechurare, li pechurere-pecoraio-i), pede (piede, na pedanne è l’orma di un piede dove è stato appena lavato), pegnate (recipiente di terracotta fatto da lu pegnatare), pelà’ (pelare), pelate (calvo, e si dice na cocce pelate-una testa pelata), nu pelline (un albino e chi ci vede solo da molto vicino), penne’ (pendere), la pennechelle (breve sonno pomeridiano, detto anche svampatelle, mentre svampite è una persona stralunata), pente (tinto e pentecchiate indica una fantasia di colori), lu peparole, li peparule (peperone-i), perdesenele (prezzemolo), pescà’ (pescare), pesche (pesca, detto anche la precoche con cui si indica pure una bella donna), pesele pesele (prendere di peso), lu peselle, li pesille (pisello-i), pestate (pestato e aver menato a qualcuno che si dice pure nu pestatone), lu pestelle (si usa in cucina per pestare i peperoni dentro a lu murtare-mortaio), lu pette (petto anche al femminile, ‘m pette-in petto), la-le pettele (pettegolezzo-i e chi li fa è nu pettelone-un pettegolo), la pettenesse (pettine lavorato con maestria artistica ed usato dalle donne come ornamento delle loro capigliature), lu petterosce (il pettirosso), pezzute (appuntito-a, na preta pezzute-una pietra appuntita), piagne’ (piangere), piagnuse (piagnucolone), le pianille (ciabatte), la piante (pianta, mentre di un edificio o di una chiesa si dice che ha la piante rettangolare), lu-li picce (capriccio-i, piccijà’-far i capricci, picciose-capriccioso), la picche (organo sessuale maschile che per i bimbi è la piccarelle o lu piselline-piccolo pisello, mentre per le bimbe si dice la rosette-una piccola rosa), piccirille (bambino o cosa piccola, e nel mio continuo creare del lancianese quando vedo un bimbo uso quest’aggettivo, e se per esempio il padre si chiama Antonio dico ecche ‘Ntonie de li piccirille), Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

Q

   Quadrà’ (far quadrare i conti), quajà’ (coagulare il latte e scappare per la paura che è quajarse e l’imperativo è quajete), quarchià’ (rompere qualcosa), lu quatrale (altro modo per indicare un bambino, usato nelle campagne lancianesi), li quatrine (i soldi, solo al plurale), ecc.

 

R

   Na racciappele (un grappolo d’uva), lu rachene (ramarro), la raganelle (anfibio e strumento musicale che scandisce le processioni del Venerdì Santo), la ragne (il ragno), rajjà’ (ragliare), raje (rabbia), la ramacce (erba inservibile e nociva per i campi, da cui deriva il famoso detto che sì studiate la ramacce?-che hai studiato la ….?, che viene rivolto ad una persona che si crede colta), la ranare (la scopa), la ranciate (aranciata), la ranocchie (rana), raspogne (ruvido-i-a-e), rattà’ (grattare, ratte-gratta e rattete-grattati), recchijne (orecchino), refere (indicava un fantasma, ora si dice di persona tanto brutta da “incuter paura”), rehale (regalo), la remesse (era fatta con una tettoia, ora è lu garage), lu rene, li rine (rene-i, mentre la rene sta per arena, sabbia), renele (rondine, renelette-rondinella), ‘rennegà’ (rinnegare), rentrocele (matterello con cui si fa un particolare tipo di pasta), rentrunà’ (quando i suoni rimbombano nella testa), resecà’ (diminuire), roffe (crosta che si forma sulla testa dei bimbi), ronce (sbaglio clamoroso), rosce (rosso), rucelarse (rotolarsi per terra come fanno gli animali per la contentezza), la-le ruve (il-i vico-vichi, ruvelle è una donna “leggera”), ruzze (ruggine), ecc.

Maurizio Angelucci - Se scrive Lanciane, se legge Langián(e) 

S

   Sacche (sacco, sacchette-sacchetto, saccone-sacco grande), saccocce (tasca), sacrastane (sacrestano), sacrestie (sacrestia), saje’ (salire), la salviette (tovagliolo), sapé’ (sapere, nen le sacce-non lo so), sardelle (sardina conservata col sale), lu sartore, li sarture (sarto), savecicce (salsiccia), sbafà’ (mangiare a sbafo), sbahuttì’ (mettere o aver paura), sbajje (sbaglio), sbalanzà’ (scaraventare via con violenza), sballà’ (tirar fuori qualcosa che è imballato, oppure un discorso sballate è quello senza capo né coda, ma per sballate s’intende soprattutto un drogato), sbanì’ (svanire), sbarbà’ (farsi o far la barba a qualcuno), sbassà’ (abbassare), sberrutà’ (srotolare), sburtì’ (abortire), scacazzette (o huagliunette-piccolo ragazzo, usato in modo dispregiativo per ridimensiore qualcuno), scagnà’ (scambiare), scagnozze (dispregiativo per definire chi è troppo servile verso altri), scajà’ (scagliare), scallà’ (scaldare), scarmorze (mozzarella), scampelate (scampato da una brutta situazione), lu scarapelle, li scarapille (scalpello-i o detto benevolmente di una persona furba), scarapenge (ma ora è lu pipistrelle-pipistrello), la-le scarciofele (carciofo-i), scardalane (chi lavora la lana), lu scarpare, li scarpere (calzolaio-i), scattacore (crepacuore e si dice a una persona che fa “cadere le braccia”, con la sc iniziale pronunciata molto ravvicinata e gutturale), scatule (scatola, dim. scatulette), scavecijà’ (scalciare), scaveze (scalzo), scencelà’ (metter disordine-té li capille scencelete-ha in capelli in disordine), schernì’ (prendere in giro qualcuno e fa’ li schirne), lu schiaffatone, li schiaffatune (schiaffo-i, con la prima sillaba molto pronunciata), na schiappe (pezzetto di legno e persona negata in qualcosa), schiattà’ (di solito morire, ma si dice a chi ha mangiato in abbondanza, mò schiette, con cui si apostrofa un invidioso), la schiuppette (il fucile), scì e scine (sì affermativo), scì’ (uscire), scialà’ (sprecare), la sciannafechure (ormai desueto per altalena), la sciantose (donna che se la tira), sciapite (senza sale o detto di chi “non sa di niente”), sciojje’ (sciogliere, sciote-sciolto), scorte (finito), lu sciucche (soprabito e blusa che era usata dai contadini), la sciuscelle (carruba e si dice di cose grandi), sciuvelà’ (scivolare e restare incinta), screzzà’ (sprizzare), scrizze (o sgrïazze-spruzzo), la scorce (buccia), la scrime (linea di mezzo che divide i capelli), scucchià’ (da l’ove, nascere da un uovo, chiaramente riferito ai pulcini, ma si dice nen si ancora schucchiate da l’ove per chi vuol sembrare più grande della sua età), sculà’ (scolare, sculature-scolatura), scumpisciate (chi si orina addosso), lu scupinare, li scupinere (zampognaro-i), scurdà’ (scordare, curioso è il diminutivo lu scurdarelle, li scurdarille, che te si magnate li scurdarille?-che hai mangiato delle “cose” tanto da dimenticare tutto?), scutà’ (ascoltare, me ti scutà’?-mi stai ascoltando?), Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

 

 T

  Tajjà’ (tagliare, tajje corte!-falla breve!), tamarre (e/o tarpane-persona rozza), lu tamorre, li tamurre (tamburo-i, suonato-i da lu tamurrare, li tamurrere), tatanare (maldicente), tate (si usava per indicare qualche familiare o conoscente che accudiva i bimbi durante l’assenza dei genitori, mentre il padre era tatà e il nonno lu tatone), lu tecchie, li ticchie (grosso-i pezzo-i di legno-i da ardere), tegne’ (tingere ed ora si dice di persone che non pagano i debiti, cioe lu tegnetore, li tegneture), tejane (tegame in terracotta, al diminutivo tejanelle), la teje o la tïelle (pentola), telaje (telaio), telederagne (ragnatela), tenajje (tenaglia), nu tenemente (una grande proprietà terriera), terramute (terremoto), tesse’ (tessere), nu ticchie (un tic), lu tone, li tune (tuono-i, ed è ormai desueto silustre), tonne (tonno, ma significa pure tondo), torde (tordo ed indica uno stupido), tosce’ (tossire, la tosce è la tosse), tragne (secchio per prendere l’acqua), trapassà’ (oltrepassare), trapelone o aretrapelone (persona che sa “rigirare la pizza”), trappite (frantoio), travutà’ (rovesciare qualcosa per far uscire un liquido), trencià’ (da cui trenciate che significa menare o fare a pezzi qualcosa, e si ha pure tretà-tritare e tretate), Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e).

 

 U

  Uadagne (guadagno), uande (guanto), la uandïere (il vassoio), uanne (quest’anno), uardà’ (guardare), uaste (guasto), ubblehà’ (obbligare), ucchiature (rito per scacciare lu malocchie-malocchio), uccupà’ (occupare), udià’ (odiare), ufane (persona vanitosa e insofferente), ugnune (ognuno), uhuale (uguale), umidì’ (umidire), unurà’ (onorare), uoje (oggi, che è ormai diventato ogge), upinione (opinione), uperaie (operaio), urganette (armonica a bocca), usemà’ (annusare, fiutare), uve (uva), ecc.

 

 V

  Vacche (mucca), vace (bacio, e vacià’-baciare), vache (chicco d’uva), vasanecole (basilico), lu vascelle (botte per fermentare e conservare il vino), na vattente (dar le botte a qualcuno, come na mazzïate), vazzeje (scodella, ma indicava un grosso recipiente di terracotta dove nei tempi grami mangiavano tutt’insieme i membri delle famiglie), lu vegnale (oliveto, ma è più diretto la capanne, ed è curioso menà’ lacque a la capanne-spruzzare dei medicinali), vejà’ (vegliare e veje-veglia), velegnà’ (vendemmiare), ventelà’ (far vento), vernacochele (albicocca), verzelline (fringuello), vestì’ (vestire), viaje (viaggio), vigije (vigilia), vjuline (violino) vjulone (contrabbasso), la volepe (la volpe, pr. vó-l’-p’, ma la prima e tende a non pronunciarsi più), vomeche (vomito), votamonne (giramento di testa), lu vove, li vuve (il bue-i buoi), Il resto su   Se scrive Lanciane, se legge Langián(e)...

 

 Z

  Zampïà’ (camminare dove è stato appena lavato), zappe (zappa), lu zenale (era il grembiule per la scuola o per dei lavori in genere, pronunciato con la s sorda), lu zenghere, li zinghere (zingaro-i, ed è anche detto tra i parenti per chi si differenzia tra di loro per dei comportamenti troppo esuberanti e maleducati), zepponde (zeppa), zie (zio, accorciato in zi’ subito seguito dal nome proprio), zitelle (zitella, oggi si dice single, un termine ormai usato pure per gli uomini), la zoccole (il ratto e detto di donna molto licenziosa), la zuppe (zuppe), zurle (eccessiva vivacità), la zarravulle (calabrone), zuffunnà’ (cadere in malo modo o affrettarsi disordinatamente), ecc.

Le parole di origine longobarda nella parlatura lancianese (in corsivo le parole lancianesi)

balcun (balcone, nel lancianese era balecone ma la e atona è ormai scomparsa), banka (banche e panche, banca e panca), bara, per i longobardi era un carro agricolo (la bare a Lanciano indica la cassa per le salme) busk (bosche, bosco), fara (in abruzzese fare, che erano un insieme di famiglie longobarde che si spostavano e combattevano insieme, da cui i toponimi di città abruzzesi quali Fara Filiorum Petri, Fara San Martino, ecc.), federa (federe-federa), flaskun (lu fiasche, fiasco inteso come un recipiente di vetro), krattôn (grattà’-grattare), palko (palche, palco inteso come un ripiano di legno per sostenere qualcuno e/o qualcosa), raubôn (arrubbà’-rubare), rinken (trinkà’ nel senso di veve’-bere), skena (la schine-schiena), scranna (scranne-scranno), skrezôn (scherzà’, scherzare), sterz era il manico che guidava l’aratro (sterze-sterzo), stuhhi (stucche-stucco), werra (uerre-guerra),ecc.

INEDITI DI STORIA LANCIANESE 

Maurizio Angelucci - Se scrive Lanciane, se legge Langián(e) 

Con 50 Foto di Nicoletta Di Ciano

della 1a Inedita Narrazione fotografica di tutto il territorio di Lanciano


INEDITI DI STORIA LANCIANESE 

 

E poi c’è un arricchimento lessicale con la versione dialettale della storia di tutto il territorio di Lanciano…

IL LESSICO LANCIANESE, COME TUTTI I DIALETTI, MANCA DI MOLTI VOCABOLI, PER CUI SI RICORRE SPESSO AL FENOMENO CHE CHIAMEREMO DELLA ITALIANIZZAZIONE PER COLMARE OGNI TIPO DI LACUNA. OGNI VOCABOLARIO DIALETTALE, SE CONFRONTATO CON QUELLI DELL’ITALIANO E DI ALTRE LINGUE STRANIERE, RISULTA SEMPRE DI DIMENSIONI MOLTO PIÙ PICCOLE. INFATTI, SE PRENDIAMO LE PAROLE LANCIANESI MEJECHE (MOLLICA-AL DIMINUTIVO MEJECHELLE), LU MEJECULE (L’OMBELICO), È EVIDENTE CHE SONO PRETTAMENTE DIALETTALI, MA LU CASTELLE (IL CASTELLO) E LA CASE (LA CASA) SONO CHIARAMENTE DEI DERIVATI DALLA LINGUA ITALIANA ED UN ALTRO ESEMPIO DELL’ITALIANIZZAZIONE È LA SOSTITUZIONE DELLE VOCALI FINALI DELL’ITALIANO CON LA E ATONA (I LANCIANESI BELLE E BRUTTE, ECC.). QUINDI SOLO “ITALIANIZZANDO” SI POTRÀ TRADURRE COL LANCIANESE QUALSIASI COSA, COME HO FATTO CON LA DIFFICOLTOSA E A TRATTI QUASI IMPOSSIBILE TRASPOSIZIONE IN DIALETTO LANCIANESE DELLA MIA 1A STORIA DI TUTTO IL TERRITORIO DI LANCIANO (nel 2005)…

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vale a dire...

INEDITI DI STORIA LANCIANESE 

 © Maurizio Angelucci - fine del 2007